Topinambur

Topinambur

Autunno 1975. Domenica pomeriggio. La Citroen Dyane 6 CV si ferma davanti al mio portone, la portiera si spalanca a 90°, la voce del Moro mi invita a salire. Parte sgommando come sempre lasciando a naso in aria i ragazzi del bar Fendo. Cosa facciamo oggi chiedo io, non ho niente in programma per la giornata. Lui mi dice che c’è una festa alla quale è stato invitato da una ragazza che ha conosciuto in montagna lo scorso agosto, l’ha rivista in farmacia dove è passato a ritirare una medicina per la madre. La ragazza ha notato come sua madre ha guardato il suo amico, la bellezza non passa inosservata e lui è proprio un bel ragazzo, forse è stata proprio la madre a suggerirle di invitarlo alla festa. Alto, scuro in viso che sembra sempre abbronzato, una flemma nei movimenti che lo rende simpatico soprattutto alle donne, parla poco, lascia spazio all’ascolto di ciò che dicono gli altri. Ci frequentiamo da maggio, quando tornato dal servizio militare mi sono trovato solo, privo di una compagnia, i pochi amici di prima han preso strade diverse e ci siamo persi di vista. A volte mi chiedo cosa abbia fatto scattare la molla che ha innescato la nostra amicizia. Potrei dire che non abbiamo niente in comune. Lui non ama la musica, l’arte, la lettura, entrambi non siamo sportivi, la sua unica passione sono i camion, in special modo i TIR, sopra tutti, al vertice ci sono gli Scania svedesi. Impazzisce quando ne vede passare uno, guidarlo è il suo sogno. Io invece odio guidare. Sono stato costretto a fare la patente per poter impugnare il volante di un mezzo che mi conduca al lavoro.

Appena seduto sul sedile accanto al suo, il Moro ammicca invitandomi a guardare sotto il cruscotto. Ha fatto montare lo stereo. Prima che io abbia tempo di aprire bocca per la sorpresa, inserisce una audiocassetta Stereo 8, la conosco è Electric ladyland di Jimi Hendrix. Fa partire la canzone All along the watchtower. Volume alle stelle. Finestrini aperti. La gioia disegnata sul mio viso fa apparire la fila dei denti bianchi del mio amico. Ti piace mi dice. Faccio cenno di sì. Il Moro sa quanto sia appassionato di musica, di questa musica. Appena fuori paese rallenta e si ferma sul ciglio della strada per darmi tempi di ascoltare la canzone fino alla conclusione. Entusiasta di questa sorpresa gli dico che non c’è problema se lui deve andare alla festa di compleanno della sua amica, per me stare a casa una domenica pomeriggio non è una disgrazia, ho una collezione di dischi che mi può allietare fino all’ora di andare a letto. Lui insiste che devo andare con lui, se non vado io neanche lui ci andrà. A parte la ragazza non conosce nessuno, confessa che non sa come comportarsi e che la ragazza gli ha detto che avrebbe potuto portare qualche amico, forse questa balla l’ha inventata in questo momento. Capisco, però, che ci tiene, in questi mesi più volte abbiamo espresso il desiderio di farci una compagnia per nuove conoscenze ed esperienze. Non mi piace farmi pregare. Accetto. Gli chiedo se ha pensato ad un regalo. Presentarsi a mani vuote ad una festa di compleanno non fa fare una bella figura. Lui non ci aveva pensato. Mi guarda e cliccando l’occhio dice che il regalo è lui, anzi siamo noi due. È già tanto la presenza, confessa di non essere per niente interessato alla ragazza. Non gli piace. Di questo è sicuro al cento per cento. E allora perché andarci gli chiedo. Lui risponde che la ragazza gli ha confidato che ha invitato un bel numero di amiche ed amici, potrebbe essere una buona occasione.

Non sono troppo convinto ma non voglio deluderlo anche perché anch’io sono attratto dal fatto che ci siano tante persone, potrebbe essere l’occasione che cerchiamo ripeto anch’io.

Allora niente regalo. Guardo il paesaggio dal finestrino.

Lui guida piano, flemma anche al volante oggi. Ad un tratto gli chiedo di rallentare di fermarsi. A pochi metri dal bordo della strada, in un terreno incolto mi sorprende l’esplosione spettacolare dei fiori di topinambur. I petali colore del sole svettano gioiosi nelle corolle strappandomi il sorriso e l’ammirazione. Ne facciamo un bel mazzo e ci presentiamo con quello, penso. Sempre meglio che a mani vuote. Glielo comunico, lui accetta. Inchioda la Dyane 6, scendiamo. Lui strappa i fiori dalla pianta lasciando una certa lunghezza ai gambi; mentre me li passa mi impegno a comporre un bel mazzo. Saliamo in macchina, ho notato nella tasca della portiera un nastro di raso, gli chiedo se posso prenderlo, annuisce dicendomi che era quello del fiocco dell’uovo di Pasqua, non ricorda da quanto sia lì. Lo prendo, lo avvolgo attorno agli steli verdi e mi impegno per annodare un bel fiocco. Mi guardo nello specchietto appeso in alto davanti a me e dico che siamo due matti. Ci guardiamo felici. Lui ride, fa scattare la freccia a destra indicandomi il palazzo di campagna dove siamo diretti. Faccio un fischio. Bella la dimora!. Mentre lui parcheggia sulla strada fuori dall’alto muro della cinta, comincio a preoccuparmi pensando in che storia mi sono fatto trascinare Il cancello è spalancato. Scendiamo dalla vettura, entriamo. Nel piazzale non ci sono automobili ma biciclette e qualche motorino; mi viene da pensare che gli invitati alla festa abbiano qualche anno meno di me. Si sente la musica. Proviene da un terrazzo. Ci avviamo. Mi blocco guardando il giardino. In un angolo spicca il giallo di un enorme cespuglio di topinambur. Lo faccio notare al mio socio. Un bel casino. La festeggiata penserà che li abbiamo strappati da lì. Che figura!. Voltiamo le spalle per tornare indietro quando una voce ci ferma. Una signora, probabilmente la madre della ragazza ci invita a prendere la scala esterna per salire in terrazzo. Non ha visto quel che il mio amico ha nascosto dietro la schiena. È una fortuna. Ci giriamo, rientriamo, lui scaraventa il mazzo fiorito sotto la siepe di lauro, mi da una leggera spinta alle spalle e per farsi coraggio manda avanti me. Mi viene da ridere, ma ci sto. Arrivati sulla terrazza, notiamo gli invitati: ragazzi e ragazze, almeno una trentina, l’età varia tra la prima e la quinta superiore. Avevo intuito giusto. Ci sta. Il moro ha diciotto anni, io ventuno. 

La festeggiata ci nota, molla il gruppo che le fa il girotondo; ci viene incontro a braccia aperte. Per la verità corre incontro al Moro che prima di essere abbracciato dalla ragazza mi avvolge le spalle col suo braccio destro e spingendomi davanti a sé esclama: –Auguri questo è il mio regalo–.

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