Macchina del tempo per Antonello

Antonello Bellanca scrive:

Dall’album Anima latina, il sapiente abbinamento poetico/filosofico di Mogol con la voce del grande Lucio Battisti, che sin dal lontano 1974 ha segnato il mio esistenzialismo traggo la canzone sospesa –Macchina del tempo- il decimo brano. 

Il tema è quello della depressione, del suicidio, dello scappare da questo mondo per rifugiarsi in un ipotetico altro…già peccato che il ritorno non è assicurato e che comunque rimane un’esperienza che non si può raccontare. Però questo passaggio nell’eden è possibile idealizzarlo sognarlo secondo un poetico pensiero. Magistralmente la poesia di Mogol, veicolata dalla voce del grande Lucio, ci portano verso questo ipotetico mondo senza però prima aver indossato un “mantello alato”.

Io disperato con un mantello alato sopra un monte corro

e a braccia aperte ed occhi chiusi gettandomi come posso mi soccorro,

vedrò tra il grano i fiordalisi dall’acqua i risi.

D’amor la terra è pregna, anche se gramigna,

il seme..il seme ha..l’esclusività.

E certamente parleranno di sindrome depressiva 

o più semplicemente diranno che è morto un altro matto.

In questa produzione fantasmagorica esiste però l’amarezza, che l’estremo gesto non sia capito per quello che è, ovvero come oppressione e repressione in un mondo sempre più stretto contaminato da ogni sorta di angheria e cattiveria e che il suicida era un represso afflitto da sindrome depressiva. In poche parole “è morto un altro matto”.

Un tema difficile da trattare, mi disturba sempre.

La prima volta che ho sentito parlare di questa cosa avevo 9 anni.

Una domenica pomeriggio ero ancora in fila con i miei amici del catechismo pronti per andare in chiesa alla benedizione quando una voce sibilante e strisciante passò veloce come un serpente di bocca in bocca per le strade del paese:

Al sé cupat Luigì…strangulat!”.

Luigì era mio zio, fratello maggiore di mia madre, lo trovò suo cognato nel fienile appeso per il collo ad una corda. Nell’entrare in chiesa sentii tutti gli occhi puntati su di me, non era affatto vero ma la sensazione che ricordo era questa e quando uscimmo ricordo i capannelli delle donne e lo sciamare degli uomini verso la cascina degli zii.

Ricordo alcune frasi che si raggomitolavano e mi portavano a guardare verso la casa dove i carabinieri tenevano lontano i curiosi:

Perché l’ha fatto?

Un uomo così di chiesa

Non avevano problemi

Una moglie così brava

Cinque figli maschi, tutti gran lavoratori

Non gli mancava niente

Chissà perché l’ha fatto!”

Mia madre, quella sera, ancora rossa in viso portò a casa nostra i due figli minori, diciotto e diciannove anni; li ricordo con la testa china sulla scodella di latte inzuppato di pane e lacrime.

La cassa da morto sulla porta della chiesa -Non può entrare chi muore così- perché mi chiedevo, perché?.

Tornai ancora qualche volta alla cascina degli zii, entrando nel fienile guardavo subito in alto, da allora quando mi capita di entrare in un fienile la prima cosa sulla quale si posano i miei occhi sono le travi.

Quel gesto lasciò un segno profondo nella vita dei mie cinque cugini e nella mia.

Vent’anni dopo, un altro Luigi, padre di famiglia si appese ad un cavo elettrico in garage.

Veniva lui a prendere il pane, lo ricordo con gli occhi sprofondati nelle orbite, sempre lucidi, poche parole, appena il necessario.La morte della figlia di cinque anni, malata di leucemia lo aveva distrutto,avevano tentato di tutto per salvarla.

Qualche mese dopo la sua morte nacque la terza figlia.

Il figlio quattordicenne che lo aveva trovato a mezz’aria non trovò più pace e sparì per sempre dalle nostre strade.

Dicevano vivesse in Friuli, dicono che viva dietro i vetri di casa sua.

Dieci anni dopo la bellissima trentenne amica di mia moglie, il giorno stesso della cresima della nipote alla quale aveva fatto da madrina fu trovata in bagno con un nodo di seta al collo, l’altro capo del foulard legato all’inferriata della finestra.

Una ragazza allegra, strampalata, quando arrivava a casa nostra bisognava correre ai ripari: la cenere della sigaretta che cadeva sul divano o sul tappeto, i bicchieri sempre in pericolo. La ricordo piena di vita. Dissero che fosse depressa e non riuscisse più a dormire.

Mi fermo qui perché questo argomento mi da sempre un senso di vuoto allo stomaco.

Qualcuno lo indica come gesto estremo di coraggio, altri di vigliaccheria, preferisco astenermi da qualsiasi giudizio e pensare soltanto ad una vita che non c’è più e al vuoto che lascia nelle persone che l’hanno amata.

Ho fatto un post alcuni mesi fa su questo argomento, la canzone che lo accompagna è una delle più belle che conosco :Fruit tree.

Quattro mantovane

 

Non c’è la cassetta al cancello della cascina di Tony, da sempre il pane glielo abbiamo appoggiato sul tavolo della grande cucina che si apre sul portico.
Quattro mantovane di pasta dura, la prima sfornata del mattino, cotte con la valvola del vapore aperta; non ha mai cambiato in tutto questo tempo.
Sono più di trent’anni che non passo da queste parti; le consegne quotidiane le hanno sempre fatte mio fratello e mio figlio.

Nessuna voce sull’aia in pietra grigia, spariti gli animali domestici, la catena della cuccia è in terra avvolta e arrugginita, il fienile è vuoto, la stalla chiusa, tutto in ordine, tutto morto qui.
Come era diverso quando c’era Elia l’unico figlio di Tony e Marta, compagno di classe di giochi e di vita fino ai vent’anni.
La stessa musica.

Poi i sogni cambiarono; come un uccello che si precipita nella rete e non sa che è in pericolo la sua vita, percorse una strada “pericolosa” cominciata con qualche canna e terminata col suo corpo sfinito e nudo appeso ad un filo di ferro nel boschetto di robinie qualche chilometro più in là di questa casa.
Sua madre quasi impazzì dal dolore e si spense in breve tempo lasciando Tony solo, ora con i suoi ottant’anni di acciacchi e ricordi.

Sullo stipite un grappolo di pannocchie.
Apro piano la porta; un’atmosfera remota mi avvolge con una voce malinconica accompagnata da flauto, organo e da un sax pacato e melodico.

“Refugees” Van der Graaf Generator, la cantavamo quasi tutta a memoria, pervasi da una dolce tristezza:

West is Mike and Susie
West is Mike and Susie 

Nodo alla gola.
Il 33′ nero gira sul piatto del vecchio stereo; mi unisco al canto ma le parole scolpite da sempre nella mente e nel cuore sono strozzate dalla malinconia.

Un colpo di tosse dietro alla tenda della finestra che guarda la campagna verso ovest.
Tony si avvicina al tavolo apparecchiato con vecchi LP, disegni e fotografie di Elia.

“Ciao, quasi non ti riconoscevo, son passati anche per te gli anni dei capelli alle spalle..
Da giorni questa musica attraversa le mie ore, mi parla da un’ infinita distanza, un altro tempo nel quale non sapevamo nulla l’uno dell’altro. Non riesco a togliermela dalla mente. Elia ripeteva sempre questo ritornello dopo i nostri litigi prima di sbattere la porta e andarsene attraverso quello che lui chiamava l’oceano verde dei campi, incontro all’oro che si tramuta in grigio, incontro alla fine del giorno.

Uestismaicansusy, uestismaicansusy, non ho mai saputo cosa volesse dire.

Troppo fragile per sopportarne il male, ha pagato in anticipo il prezzo dei colpi che la vostra generazione non ha meritato.”

“West is where I love

West is refugees’ home”

 

Una settimana prima che lo trovassero fui svegliato di notte da un rumore come di porta che sbatte e riuscii a intravedere la forma del suo corpo sgattaiolare in fondo al portico, lo chiamai :

Elia fermati!
Non si voltò neanche un attimo per  incrociare gli sguardi almeno per l’ultima volta.
Per tutto questo tempo mi sono chiesto cosa fosse venuto a prendere, ma ogni cosa era al suo posto, non aveva toccato niente c’era solo questo disco sul tavolo…”

Prendo tra le mani la copertina in cartone patinato dell’album, controllo all’interno se nel testo ci sia qualche sottolineatura o indizio…. niente . Infilo la mano nella busta fino in fondo e la capovolgo sul tavolo. Tac, un biglietto piegato in quattro.

Elia era venuto a portarti qualcosa, questo”.

Lo apre piano piano, gli tremano le mani:

Leggi tu ti prego, fammi questo favore, non ce la faccio da solo, condividilo con me.”

 

A mio padre.

Cercavo la pace che mi sfuggiva dalle mani rincorrendo la luce del sole e sono diventato cieco.
Volevo farti vedere che sarei diventato uomo senza di te ma la mia vita ha percorso un tracciato che non ho saputo controllare.
Ho cercato di essere vero ma a dispetto di tutte le mie aspettative ho fallito e solo ora mi trovo a pensare al male che ho fatto a te e alla mamma.
Avete tentato di fare di me un uomo e se fossi rimasto con voi sarebbe stato tutto più semplice, naturale, ma non capivo, non capivo, volevo solo andare lontano, lontano 
e sono arrivato in un posto dal quale non si può ritornare.
Non vi merito, sono solo venuto a dirvi tutto il bene che sento per voi.

Perdonatemi, lo so che lo farete. Un bacio Elia.

E’ tornato, Elia ora è tornato per sempre”