Cireneo (Grappoli di luppolo)

il mio racconto per la IV edizione di Racconti Bresciani per Historica Edizioni

Cireneo

 

Nel grigio pomeriggio di fine febbraio un uomo e il suo cane camminano
fiancheggiando il fiume che scorre veloce dopo le abbondanti piogge della stagione.
Si fermano, là, dove un tronco sradicato di betulla blocca il passaggio.
Si siedono come sempre nello stesso posto, lui sul masso in pietra grigia, il cane accucciato ai suoi piedi; ascoltano il canto dell’acqua mentre ammirano sulle sponde l’esplosione della fioritura dei bucaneve, i fiori della vita e della speranza. Le bianche campanelle pendule scortate da foglie glauche a forma di nastro punteggiano il terreno umido e pesante tappezzato da foglie secche di robinia e platano.
A primavera il bruno mantello invernale sarà ricamato dalla serpeggiante pervinca lilla e più avanti dal convolvolo che avvolgerà con le sue spire ogni arbusto lottando con il luertìs, l’invasore estivo dai germogli rampicanti, gustosi in insalata.
Più a valle si intravede la diga della centrale elettrica; è là che vengono recuperati i corpi degli annegati. Nudi. Quando scompare qualcuno si corre subito alla diga per vedere se c’è un corpo nudo; risalendo lungo le rive si ritrovano gli indumenti ben piegati accanto alle scarpe.
È sempre stato così il rituale del suicidio su questo fiume.
Il vecchio trae dalla tasca un pezzo di pane secco, lo lancia in aria, il cane lo azzanna e comincia a sgranocchiarlo.
« Mangia, mangia, a me è passata la fame ».
Il silenzio avvolge la solitudine del luogo.
Scivolando nelle luci scintillanti sull’acqua i pensieri del vecchio si affacciano allo specchio dell’anima per fissare lo sguardo nel guazzabuglio della coscienza. Gli anni hanno portato con sé l’appannamento mentale e la debolezza dell’organismo passando tra le tempeste della vita che ora è quasi un fuoco spento; c’è ancora qualche brace sotto la cenere ma non c’è più la voglia di soffiare per ravvivarla; privo di vigore per pensare, creare, donare, senza il desiderio di ricominciare si sente come un’ombra che passeggia.
Le mani che hanno lavorato di vanga, piccone, scure e falce fanno da culla alla sua testa; le dita grosse e ruvide rastrellano la chioma canuta scontrandosi con la velata malinconia per le assenze che si sono fatte numerose. Il ricordo della moglie morta è quanto basta per fargli pensare che non ha più ragione di vivere senza di lei.
Guardando il cane che lo sta fissando negli occhi ripensa alle parole che la sua sposa gli disse poco prima di morire una sera di ottobre – Non ti lascio solo. Troverai qualcuno che ti starà accanto per confortarti e proteggerti –.
Qualche giorno dopo il funerale, tornando dal cimitero, il vecchio si accorse di una presenza alle proprie spalle: un meticcio con sangue di lupo nelle vene lo seguiva a distanza, passo dopo passo; squadrandolo con ammirazione timorosa due fiamme liquide comunicavano la tristezza di vivere da vagabondi, due richieste umide in quegli occhi: un abbraccio e il dono reciproco di affetto.
Puntando il muso verso lui pareva dicesse – io ti appartengo –.
Era penoso essere soli, soli come quel cane, non si voltò per attirarlo a sé ma se l’animale lo avesse seguito fino al cancello di casa lo avrebbe fatto entrare e lo avrebbe tenuto con sé.
Il cane non passò oltre, rivelando di appartenere alla schiera degli esseri generosi che affiancano i poveri cristi per aiutarli a portare un peso difficile da sostenere; da quel momento ebbe un nome: Cireneo.
In breve tempo, con rapidità sorprendente tra i due si è stabilito un legame saldo in un silenzio consolatorio più delle futili parole tra uomini.
Ogni mattina il devoto amico a quattro zampe attende accanto alla sedia la carezza, un colpo di spazzola sul pelo e ricambia l’omaggio con uno scodinzolio allegro riversando amore all’essere per cui sarebbe pronto a dare la vita contento.
« Hai le orecchie tese, le senti anche tu le voci Cireneo?.
Mi stanno chiamando verso un porto al di là di ogni lontananza; ciò che sono stato se ne vuole andare senza fretta verso un posto che non conosco, dove spero di trovare qualcuno che mi manca troppo ».
Rinunciare al privilegio della presenza è un gesto che si prepara nel profondo del cuore. L’inutilità della sofferenza scatena una crisi incontrollabile: il sottile processo per cui lo spirito punta alla morte. Uccidersi è confessare che non vale la pena vivere quando vivere non è facile. La disperazione affonda a spirale nei gorghi e nei mulinelli del fiume.
« Mi lascerò scivolare fino a che il vortice mi trascinerà contro le rocce. Lentamente uscirò dal tempo verso un futuro al di là da ogni stella.
Non mi spoglierò come gli altri. Nemmeno le scarpe. Sarà più facile andare giù. I vestiti impregnati appesantiranno il mio corpo.
Quando mi ripescheranno, penseranno ad un incidente, non al suicidio ».
Infila il guinzaglio del cane su un moncone di ramo della betulla, più tardi arriverà il pescatore, lo libererà e si occuperà di lui ».
È giunto il momento di andare, non ha paura di morire.
Un ultimo sguardo:
« Stai tranquillo Cireneo, faccio un giro in quest’acqua gelida ».
Si tuffa. La corrente lo tiene a galla, si lascia trasportare, non ha fretta di morire, ci penseranno i gorghi.
I veri amici vedono i tuoi errori e ti avvertono, non mentono su ciò che provano, perché non possono mentire e così Cireneo comincia ad abbaiare, abbaia forte, guaisce, si impunta sulle zampe, raspa la terra, strattona il guinzaglio. Colpi da rompersi l’osso del collo. Perle rosse scivolano sul collare. Ulula la sua disperazione al dio dei cani.
I cani quando amano, amano in modo costante, inalterabile fino all’ultimo respiro.
Il legno cede e si spezza.
Cireneo si butta nell’acqua gelida, zampettando si avvicina sempre più al suo compagno.
« Vai via Cireneo, ti prego torna a riva, vai in salvo, hai sempre avuto paura dell’acqua, vai salvati finché sei ancora in tempo ».
Due grandi pupille d’oro chiaro, affettuose e umane interrogano con tenerezza, è impossibile credere che lì non vi sia un’anima. L’amico fedele non ha il dono della parola ma suoi occhi dichiarano la grande offerta del suo cuore muto, parole espresse da uno sguardo patetico e smarrito:
-Io vengo con te-.
Il cane annaspa, sta andando giù.
Due grani di sale sulle pupille, le lacrime navigano negli occhi dell’uomo mentre un grido strozzato martella contro i denti:
– Cireneo, tu non devi morire…ti porto fuori –.
Infila una mano nel suo pelo, lo agguanta e con tutte le forze si batte contro i gorghi; è ancora forte il vecchio, l’attaccamento alla vita dell’amico moltiplica il suo vigore.
Sulla riva, il vecchio, il cane, gli abiti e il pelo inzuppati piangono acqua.
Lo bacia, lo stringe al petto, lo accarezza .
Lo lecca, gli zompa addosso, scodinzola, accoglie felice carezze e tirate d’orecchie.
« Dai, forza, corriamo a casa, faremo un bagno caldo e ci siederemo accanto alla stufa, io riproverò a cantare alla vita e tu mi farai il coro ululando alla luna ».
Uniti nell’inumidito imbrunire della sera, uomo e cane affrontano la notte.
Una raffica di vento agita le fronde delle acacie scuotendo pensieri fragili nascosti come nidi tra le foglie.
Le stelle brillano, qualcuno le ha baciate una ad una.

 

 

secondo racconto con l’incipit n° 5 per il gioco di Morena Fanti

Torneremo a ballare

Blog foto: mais1

Voglio entrare nella tua anima-
disse lui pensando che avrebbe voluto entrare in quell’anima calda e umida che lei aveva in mezzo alle gambe. Le mise una mano sulla schiena e la fece girare in un ballo languido in mezzo alla sala del circolo. 
Il paese era tutto lì, la domenica pomeriggio.

Il paese rimase lì fino alla domenica sera e li guardò ballare, ballare e ballare senza mai staccarsi: un corpo solo, un’anima sola, cominciò a dire qualcuno.

Equilibrio perfetto nella vertigine del ballo.
Quando l’orologio del campanile scoccò i dieci rintocchi, i due svanirono nel nulla e ai cani da guardia attorno alla pista rimase solo un’immagine impressa nella retina.
Giulio e Mary lungo l’argine del fiume, sui fiori e l’erba del prato, trovarono il modo per soddisfare i loro sensi rubandosi la verginità.
Il bottino se lo spartirono in casa nove mesi dopo.

La serenità danzò con loro per lunghi anni tra le pareti della cucina, sul letto e nell’orto, incrociando occhi, braccia e gambe, trasformando l’irruenza dei primi tempi in esperienza e infine in paziente tenerezza, fino a quella sera, quando, scivolando su un gradino che portava al solaio, lei andò a sbattere la testa per terra.
Perdita d’equilibrio, vertigini, nausee, conati di vomito.
Se non interverranno complicazioni dopo l’aspirazione all’ematoma nel cervello, sua moglie tornerà a casa in gamba come prima disse il medico.

Il vecchio, accanto al letto della sala sterile dell’ospedale, vegliava il sonno della moglie ammirando come fosse bella, ancora più bella con il cranio completamente rasato. Pensò al primo ballo, al piacere di quella prima notte, ai loro corpi allacciati nel tango, agli incarnati nel letto, nell’erba, quante volte avevano fatto all’amore in tutti quegli anni.
Da quando era andato in pensione, ogni sabato sera d’estate andavano a ballare alla villa degli anziani.
L’invidia colorava di verde i vedovi e le vedove, i single, le “coppie scoppiate”; tutti li guardavano e non si davano pace vedendoli perennemente in luna di miele, a ballare stretti e abbracciati. Ma ciò che più irritava i compaesani era vederli sgattaiolare via, lei seduta sul canotto della bici, con una mano sul manubrio e l’altra abbarbicata come un ramo di glicine alle reni del marito.
Giulio, sempre magro e snello, suonava il campanello e con la sua mano grossa da metalmeccanico le lisciava i fianchi e le forme arrotondate dal tempo; affondava il naso nella permanente bionda e le baciava il collo, sapendo che era un preludio a ciò che avrebbero fatto a casa.

I capelli sono tutto per una donna, pensò Giulio. Mary ci teneva molto.
Era sicuro che, finché non fossero cresciuti, tutti l’avrebbero vista con un foulard di seta avvolto attorno alla testa.
La coperta marrone stesa sul corpo si sollevò e abbassò al ritmo del respiro.
Lui attese finché le palpebre stanche si aprirono come finestre per mostrare gli occhi azzurri di lei.

… Sei qua … da tanto tempo? –

-Fra tre mesi saranno cinquant’anni che sono accanto a te e non mi stanco mai di guardarti. Quando torni a casa festeggeremo le nozze d’oro, una grande festa con figli e nipoti, non vedo l’ora.-

-Ho avuto molta paura prima dell’intervento, e ne ho ancora…-

-Sono passati appena due giorni-

-Ma non mi fanno ancora muovere… quel tremendo dolore alla testa… ho paura di non reggermi in piedi. Sarò ancora come prima? –

Le prese la mano da sotto la coperta, bagnandola di lacrime.

Sono calde le tue mani. Io, invece, ho freddo. Ho solo il camicione dell’ospedale, sono quasi nuda… non te ne sei accorto?-

Come un serpente sotto la coperta, la mano di Giulio percorse il corpo di Mary attraverso la stoffa dell’ospedale, accarezzandola a memoria. Si fermò sul petto, disegnando con la punta del dito medio piccole spirali sull’areola.
Lei sorrise:

Cosa fai, dai che poi non ti controlli e ci cacciano entrambi.
Ci pensi, due
settantenni sorpresi a far l’amore in un letto d’ospedale, finiremmo su tutti i giornali.

-Da quando non lo facciamo? Dall’incidente sulla scala, no prima… l’ultima sera di luglio. Pensavo che al mare ci saremmo lasciati andare, invece hai sempre dormito in camera con tua figlia e le bambine, ti ho aspettato inutilmente per quattordici sere, mai una visita, e di voglia con i bagni nell’acqua salata del mare me ne viene sempre tanta, sei stata cattiva-

Tu, invece, in quindici giorni non hai aperto il borsellino per comperare un gelato alle tue nipotine, forse sei stato più cattivo tu!

-L’avessi intuito, un gelato per una notte d’amore, ogni gelato un bacio assicurato, sono proprio uno stupido ma vedrai che quando torni a casa mi rifaccio e alle bambine comprerò giochi e dolci a non finire-

-Così ti prende un colpo e mi rimani lì secco. Dai, togli la mano da qua sotto, tra poco passerà l’infermiera. Quando sarò di nuovo a casa avremo tempo. Se qualcuno ci ascoltasse da fuori potrebbe pensare che qui ci sono due ragazzini in calore. –

-Beh, siamo cresciuti ma non è cambiato niente, no?-

-Torneremo a ballare?-

Serafino aveva un sifolo

Il lavoro in giardino  occupa quasi tutto il  mio tempo libero a disposizione, oggi ho affastellato una decina di fascine di rami di quercia e li ho messi ad asciugare , così ho deciso di postare uno dei miei primi racconti su questo blog:

26 giugno 2009
Il giorno in cui  la casa  rimase vuota

Come piccoli rimorchiatori , consapevoli della nostra inesperienza, sereni, uniti come gli anelli della catena, trasciniamo la stanca nave all’estremo confine del porto per il viaggio verso l’oceano infinito.

Siamo tutti qui, dietro la lunga automobile nera metallizzata, noi adulti in disparte e tutti i ragazzi a fare ghirlanda attorno al tuo legno, qualcuno piange, altri mandano un bacio, Francesca tocca la cassa prima che il portello si chiuda, Stefano, Ale, Claudia, Emanuela, Simone e Cristina stanno a guardare mentre la vettura si allontana.

Matteo in macchina sta già correndo verso la forneria, deve continuare la consegna dei sacchetti di pane.

Sulla strada di casa, la piccola bionda Rachele si affianca, la sua manina mi aggancia:

-Zio ma qui sono tutti tristi, ti prego fammi passare questa malinconia,

inventiamo una delle tue storie-.

Stringo la piccola mano ingoio il nodo che soffoca il respiro e inizio una filastrocca:

“All’ombra del tiglio,

la moglie ha detto al figlio,

cogli il giglio a un miglio dallo scoglio,

posalo su una teglia o su un foglio,

sulla paglia della gabbia dei conigli

vuoi continuarla tu ora Rachele?”

Un refolo di vento muove le foglie del viale alberato, sento la “presenza”. 

Una canzone ascoltata trent’anni, una canzone del suo essere bambino tra i campi di granturco:

 

Serafino aveva un sifolo,

sifolava tanto ben

e quando c’era nigolo

il cielo diventava seren. 

Serafin se fet so che so mia se fa sifule

sifulerem insiem.

Tutte le donne facevano silenzio

per ascoltar quel sifolo

per ascoltar quel sifolo.

Tutte le donne facevano silenzio

per ascoltar quel sifolo

e poi cominciava a fischiare

Comincio a correre, la cravatta mi stringe la gola, allento il nodo, allungo il passo, la voce di Rachele  che mi chiama si allontana, mi sbottono la camicia, fa caldo alle 10 del 26 giugno, corro, corro sempre più forte mentre una canzone mi esplode nella mente: -Strade- dei Subsonica

*FORSE STA A POCHI METRI DA ME QUELLO CHE CERCO

E VORREI TROVARE LA FORZA DI FERMARMI,

PERCHE’ STO GIA’ SCAPPANDO

MENTRE NON RIESCO A STRINGERE PIU’ A FONDO

E ORA CHE STO CORRENDO VORREI CHE FOSSI CON ME CHE FOSSI QUI. 

SENTO A POCHI METRI DA ME QUELLO CHE C’ERA

E VORREI TROVARE LA FORZA DI VOLTARMI 

PERCHE’ SE STAI SVANENDO 

IO NON CI RIESCO A STRINGERE PIU’ A FONDO 

ORA CHE SOTTO IL MONDO VORREI CHE TU FOSSI QUI.

Arrivo al cancello della casa;chiuso; lancio la giacca sulla ringhiera la scavalco e mi dirigo verso l’orto.

Seduto al muretto accanto alle piantine di pomodori ora grossi e verdi guardo le galline, non si accorgono della mia commozione e mi lascio andare, qui non mi vede nessuno.

Al cancello Rachele mi chiama, ho tutto il tempo di sciacquare il viso e le guance alla fontanella nel prato, arrivano anche gli altri, sento lo scatto della serratura automatica, si fermano sotto il portico, nessuno se la sente di scen-dere nello scantinato al fresco, la “casa di tutti” ora è solo di un’ erede, tutti gli altri non si sentono di varcare la soglia, non ce la fa neanche la nuova padro-na, l’ultima delle sorelle, la madre della piccola  Rachele e di Clotilde.

Arrivano tutte e due insieme le ultime nipoti:

-Zio, che corsa non riuscivamo a starti dietro, sei il solito matto, tutti seri e tu via nel vento-.

Clotilde ha dodici anni , intuisce, appoggia la testa sulla mia spalla:

-Verrai ancora a trovarci in questa casa ora che non c’è più il….

Zio lo incontreremo ancora il nonno?-.

-Io lo incontro ogni volta che voglio.-

-E dove indicami il posto vorrei esserci anch’io-.

Apro la camicia e punto il dito al centro del petto.

-Qui-.

  • La canzone Strade è dei Subsonica.

Perle d’agosto

Racconto  lungo e birichino

Agosto.Le ventitre di un afoso sabato sera. Mara nel letto della sua camera guarda il cielo tempestato di puntini luminosi : 

” Eccola.   Stella cadente cospargi di polvere magica le persone che dormono in questa casa stanotte, fa che si vogliano bene per sempre”. 
Chiude gli occhi , trattiene qualche istante il respiro e si abbandona al sonno.

Dorme in  “cameretta” nella  casa dei genitori, è incinta del loro primo figlio, ottavo mese, aveva paura a stare a casa da sola,  il marito è ad un banchetto di nozze.

“Ti lascio aperta la porta sul retro, quando arrivi fai piano, infilati nel letto vuoto di mia sorella, non svegliarmi e non fare lo scemo con tutte le donne se andate a ballare dopo la cena”.

“Certo! che voglia di ballare con questo caldo! “
Dopo il caffè   Stefano saluta tutti e nell’umidita dell’aria del lago  scivola in macchina,  in poco tempo arriva alla casa dei suoceri. 

Tutto tace  in campagna, un silenzio piatto, non si muovono le foglie del ciliegio e del fico.  Sulla soglia  sfila le scarpe,  cammina come un ladro, l’ effetto  dello spumante e l’ammazzacaffe  rendono ancora più ridicola la sua ombra proiettata sul muro dalla luna, le punte dei piedi sembrano forchette che punzecchiano i maledetti ravioli alla ricotta e erba cipollina che il suo stomaco mescola  come  malta in una  betoniera. Entra. Dormono tutti. Silenziosamente  e disordinatamente si spoglia lanciando uno dopo l’altro gli indumenti sulle poltroncine della camera,  giacca, cravatta, camicia, calzoni, calzini,  si abbandona sul letto in mutande e canottiera.

Non dorme, ha caldo, suda,  il lenzuolo  arrotolato come uno straccio attorno alle gambe, le zanzare lo tormentano, suo suocero russa e ogni mezz’ora il maledetto uccello di legno salta fuori dalla  casetta e canta il suo
cucù, cucù, cucù…..
ne ha sentito dodici tutti in una volta sola e poi tanti quante le ore sul quadrante di volta in volta. Notte di merda, ma è tranquillo, dormirà domani pomeriggio, intanto veglia sul sonno della moglie perfettamente a bolla nel suo lettino di ragazza, non c’è una piega sul suo lenzuolo, sembra ingessata , se non fosse per il leggero movimento su e giù del respiro si direbbe  sia morta. 

Pensa a tutti i discorsi della serata, tutto il pasto a parlare di sesso, sesso e solo sesso, non c’è stato verso di far cambiare argomento alla tavolata dei colleghi di lavoro, maschi e femmine, è stato più di tre ore ad ascoltare le solite domande e risposte cercando di schivarne il più possibile:
Come lo fai?
Quante volte?
Quando?
Hai mai tradito?
E poi quelle rivolte ai “vecchioni”
Voi lo fate ancora?
Cosa si prova alla vostra età?
Non ci si stufa dopo tanti anni della stessa minestra?.
Quando hanno insistito su di lui non si è potuto sottrarre ed imbarazzatissimo ha rilasciato laconiche risposte:

” Mia moglie è stata l’unica mia donna
non ho avuto altre esperienze, siamo sposati da poco, l’amo molto,
aspettiamo un bambino a breve dopo una difficile gravidanza in cui ho dovuto rispettare il suo corpo, potete immaginare quanto mi è costato ma…
cosa dite se lasciamo perdere…
no scusate continuate pure, per me si è fatto tardi, vado da lei , siamo in stato dall’erta, è il nostro primo figlio…
vado a congedarmi dagli sposi,
vi auguro una calda, calda, caldissima serata. Ciao a tutti”.

L’alcool che ha  bevuto non è evaporato del tutto, si toglie la canottiera, alcune affermazioni di quei discorsi gli bombardano la mente e creano uno stato di eccitazione continua,  il diretto interessato è in apnea con l’elastico delle mutande quindi Stefano se le toglie e le lascia cadere accanto al letto. 

Qualcuno è in bagno.
Poco dopo  sulla soglia appare la figura della suocera, la luce della luna elimina ogni profondità e assorbe ogni tono troppo vivo, la trasparenza della seta, unico indumento, mostra le forme della donna in carne, immagine della moglie con qualche chilo in più ma altrettanto desiderabile.  I soldatini chiamati dalla tromba dell’adunata mettono nuovamente il corpo d’armata  sull’attenti. 

La donna sulla porta guarda la figura composta della figlia, sembra una duna lisciata dal vento del deserto, non una piega su quella collinetta.
Come  le briciole di Pollicino, calzini,  canottiera e mutande portano il suo sguardo  al letto dove nell’oscurità riesce a distinguere l’ oggetto del desiderio, cerca di distogliere lo sguardo ma torna continuamente lì. Istanti piacevoli….. piacevoli per tutti e due.
Il ragazzo stilla sudore da tutti i pori,  fa un lungo respiro e si gira su un lato voltandole la schiena, lei lentamente in punta di piedi torna in camera sua e si corica accanto al marito che imperturbabile  procede con  il suo rrronf rrronf.
Anche per lei sarà difficile riprendere il sonno. 

E’ l’alba,  le molle del letto fanno uno scatto, qualcuno apre la porta della camera  e poi anche  quella che dà all’esterno, come ogni domenica mattina il suocero approfitta del fresco per fare la pulizia alle conigliere; meticoloso com’è ci metterà un ora e più. Anche Stefano si alza, ha deciso di salire in soffitta per curiosare tra le cose vecchie, da sempre ama quei luoghi e gli piace sognare accarezzando oggetti, carte e giocattoli abbandonati. Si perde per un pò a fantasticare e costruire un passato che non gli appartiene poi va alla piccola finestra che guarda la campagna circostante, il mais alto oltre due metri è una muraglia verde attorno alla casa,  all’orto,  al prato e al serraglio degli animali.
C’è qualcun altro sveglio a prendersi il fresco, la suocera in sottana, semi addormentata sulla sdraio a righe rosse gialle e verdi osserva l’andirivieni tranquillo e flemmatico del marito.

“Come siamo diversi, morirei se dovessi lavorare con lui, io ho un’altra mano, sono il suo opposto  loro  mi chiamano -sumelec-  fulmine” pensa il giovane dalla soffitta.

Quando il suocero fa questi lavori  nella bella stagione si toglie tutti gli indumenti indossando solo un  paio di braghe corte. Dopo aver portato la lettiera sporca nel letamaio ed averla sostitutita con quella nuova, versa dell’acqua negli appositi barattoli in alluminio e con il fieno fa delle minifascine larghe un palmo che appende in vari punti nelle gabbie perchè non lo calpestino, toglie da una vecchia madia  del pane secco e lo butta alle “mamme” che hanno sotto i coniglietti appena nati da allattare, dà un colpo di scopa tutto attorno e chiude il serraglio; ha finito. 

Tutto sudato, si avvicina alla fontanella e comincia a lavarsi le gambe, le braccia, le ascelle, il petto.   La moglie gli è già accanto con l’asciugamani in spalla,  gli lava la schiena e poi comincia ad asciugarlo,  tampona delicatamente il dorso e il torso, lui la guarda, i suoi occhi si abbassano sul taglio del seno che ondeggia lentamente, la prende per i fianchi e se la trascina contro il corpo.

 Le  lunghe braccia l’avvolgono e la stringono come le spire di un pitone, avvicina la bocca a quella di lei,  la vorrebbe ingoiare dal desiderio,  la bacia ardentemente ,  con una mano prende la mano di lei e se la infila nei calzoncini: è armato.

Gli occhi negli occhi. C’è un tavolo da giardino sotto il ciliegio, sono già lì,  velocemente si è liberato dell’ultimo indumento ed ha già alzato la  sottana  della moglie  mostrando  alla luce le cosce lisce, morbide e fresche tra le quali s’infratta energicamente. Il suo corpo è asciutto, non ha un filo di grasso, i  tendini  come  corde tirano i muscoli che pompano con energia,  qualche colpo,   la posizione non è una delle migliori, lei lo allontana e si gira con le spalle, non perdono un secondo, sono di nuovo una cosa sola, fremono di piacere,  i respiri aumentano di intensità, la gola diventa sempre più secca.  Stefano si  lascia trasportare in quell’amplesso e dal suo rifugio si sente partecipe, ogni colpo sembra partire dalle sue reni:
“Vai! vai!  Vai! “
e quando Giovanni si abbandona  delicatamente sulla schiena di Teresa,  anche lui sente sgranare le sue perle.
 “L’abbiamo fatto insieme, abbiamo goduto  in tre”.
La carne soddisfatta e l’amore corrisposto si raddrizzano;  con le mani dietro, la donna  abbraccia i fianchi del marito: 
“Ancora un attimo”      gira la testa sulla spalla per un altro bacio,  la sottana sul davanti scivola sulle gambe, lui alza il capo per un lungo respiro e incontra lo sguardo del genero ancora frastornato dall’esplosione  tra le gambe, dà un colpetto alla moglie  facendole cenno di guardare in alto.

Sei occhi fanno il girotondo, la donna mette una mano alla bocca, l’uomo accanto a lei allarga le braccia con le palme  rivolte verso il cielo come per dire -oramai quel che è fatto è fatto-, dalla soffitta  il genero sporge la mano destra con il pollice alzato verso l’alto   e poi sparisce dalla visuale. 

Scende al primo piano, sua moglie dorme ancora, la sta a guardare e si sofferma a pensare che da un atto come quello appena visto è nata lei e nascerà il loro figlio:
“E’ una cosa straordinaria il sesso,  così in natura è ancora più bello, è totalmente opposto al senso di colpa e di peccato col quale mi avevano tirato su fin da piccolo. Tra qualche mese riprenderemo anche a noi due questa piacevole attività,  voglio arrivare alla loro età e godermela allo stesso modo senza inibizioni, bravi! come mi sono piaciuti questi due”

In cucina sente il rumore delle stoviglie, la suocera sta preparando la colazione.

“Devo andare di là a risolvere questa situazione” . 

Ora si infila le braghe del pigiama leggero di tela.

Il suocero è seduto al tavolo davanti alla scodella del latte, lo guarda,  sorride e con gli occhi  fa il cenno verso lei che girata di schiena  chiede:
“Vuoi il thè  con i biscotti?” 

  ” Va bene, grazie!” si siede, apre il barattolo dei biscotti , mette due cucchiaini di zucchero nella scodella, spreme il succo di limone  schiarisce la voce con un hum: 

“Mi ha fatto piacere la scena sotto il ciliegio, ero convinto  che dopo tanti di anni non si facesse più all’amore tra coniugi, che sciocco, avete ancora un’energia che fa invidia e mi fa pensare che c’è nè  ancora molto da fare per voi e per me” .
Lei si volta, è serena,  quelle  parole in qualche modo hanno sciolto la  tensione e l’imbarazzo, gli appoggia una mano sulla spalla:
“Ti chiedo un grosso favore…non raccontarlo a tua moglie e alle sorelle” . 

“Nessun problema, avete ragione, la teniamo tra noi questa cosa, sarà il nostro piccolo segreto, voi comunque continuate a farlo che a me fa molto piacere sapervi in attività nel tempo….” 

 Il suocero con evidente segno di soddisfazione  gli dà un colpetto col piede sotto al tavolo e gli schiaccia l’occhio.
Stefano fa scivolare sul tavolo la scatola di latta :

“Prendi Gianni, dai che lo so che ti piace….

Teresa non gli lascia finire la frase, appoggia la teiera davanti al genero e gli da uno scapellotto sul coppino :
Sssshhhtt!! muti come pesci”
, e gli sussurra all’orecchio “

“Dopo portami le mutande che te le lavo”.

 

La vigilia di Natale nella casa del mais

martedì, 22 dicembre 2009

ll tavolo e le sedie sono contro il muro,  il piano della vecchia credenza  è libero, carte,vasetti,  fotografie, via tutto,li hanno fatti sparire, son rimaste le due foto incorniciate, uno accanto all’altra, i due coniugi si guardano:

 

Sembra ancora più vuoto lo scantinato stasera

-Hai ragione, fa anche più freddo, potessi mettere qualche pezzo di legna nella stufa per diffondere  calore in questa  stanza-

-A cosa servirebbe, oramai la vigilia di Natale la festeggeranno da qualche altra parte.

Mi sarebbe piaciuto vedere le bambine scartare i regali degli zii –

Per Rachele certamente un gioco, ma Clothy,  non hai visto come si è fatta grande?  Ha dodici anni, è una signorina, le zie sicuramente avranno pensato a qualche cosa di diverso da un giocattolo

-Eh  sì, io non ci arrivo mai a queste cose, non me ne sono mai accorto che gli anni passavano mentre figli e nipoti diventavano grandi e uno alla volta se ne andavano per la loro strada;  ora che me ne sono andato anch’io chi consumerà tutta    la legna che avevo accatastato?-

– Ti preoccupi per la legna, a me mancano tanto le lucine del presepe che aveva costruito  nostro figlio Guido; ogni anno illuminava a festa questo stanzone, ricordi quando rimanevamo soli noi due, spegnevamo tutto e stavamo a guardare le statuine mentre fuori soffiava il vento o fioccava-

-Si,  poi  mi mandavi fuori a portare qualche briciola ai passerotti  infreddoliti che saltellavano e pigolavano alla porta-

E’ stato tutto così bello-

-Così breve-

La nostra vita……
Arriva qualcuno!-

-Da come ha sbattuto la portiera e da questo rumore metallico credo sia nostro genero Fausto il marito di Neli!.-

-Sì, è proprio lui, nessun altro scavalca il cancello, hai sentito il tonfo?  E’ già alla porta, vedo la sua figura dietro ai vetri.-

 

-Brrr che freddo! Meno male che la porta dello scantinato è sempre aperta, non c’è niente da rubare qua. Ho fatto bene a non ascoltare Neli, son venuto subito e preparo la sorpresa della vigilia. Le  tre sorelle  e il fratello Guido hanno deciso di aprire i regali  su nell’appartamento al primo piano, dalle bambine, ed io invece allestisco qui come una volta.

Ora accendo subito la stufa, non risparmio la legna, tanto c’è  n’è ancora una montagna la fuori da far sparire, poi tiro il tavolo in mezzo alla stanza, dov’era una volta, ci metto sopra il presepio che sicuramente troverò ancora nella  scatola di cartone chiusa in  ripostiglio e starò qui ad aspettare che arrivino gli altri, e quando entreranno farò partire il lettore Cd con le  cornamuse  scozzesi. Vado…

Eccoli lì al loro posto gli sposi, ora vi farò stare al caldo e poi riscalderò ancor di più i vostri e gli altri cuori.

 

-Che bel pensiero, come mi fa star bene  pensare di vederli qui tutti, lui ha sempre qualche trovata per coinvolgere la nostra famiglia eppure non è nostro figlio-

-Per come mi ha accompagnato negli ultimi mesi per me è come lo sia stato sempre.

 Quando mi  vegliava la notte, lui non stava nella cameretta accanto, entrava a letto con me, parlavamo invece di dormire. Mi diceva  quanto i nostri figli ci amassero e voleva sapere tutto della nostra storia, che  io e te eravamo il suo modello di amore di coppia e come genitori. Quanto mi sono aperto con lui! Gli ho raccontato momenti che nessuno ha mai ascoltato, i nostri momenti più belli, più intensi-

-Anche io ho sempre sentito questo suo affetto. La sera prima di “andarmene”, mentre  si abbassava per darmi l’ultimo bacio, lisciandogli  la guancia con una carezza gli ho sussurrato all’orecchio di prendersi cura di te al mio posto se non fossi tornata a casa-

Hanno mandato lui ad avvisarmi della tua morte, Guido e le ragazze non avevano il coraggio oppure non sapevano come fare, invece lui, che grinta!    Mi  ha dato quella pugnalata ed è stato lì fermo davanti a me, si è lasciato scrollare , mi ha lasciato imprecare e poi mi ha accolto tra le braccia come un bambino. E come un bambino mi sono affidato a lui quando con il peggiorare della malattia le mie forze non mi hanno più sostenuto. La delicatezza con la quale mi lavava, mi vestiva!  Non ero imbarazzato con lui e quando il prurito mi tormentava tutto il corpo mi abbandonavo  al sollievo e al piacere del suo massaggio con il talco mentolato come se le sue mani fossero le tue…

E’ vero, ero vicina a lui in quei momenti ti toccavo con le sue mani , ti ho stretto con le sue braccia e ti ho baciato con le sue labbra quella sera nella doccia quando tu  sfinito e senza forze ti sei completamente abbandonato a lui –

In quel momento  ho sentito la tua presenza , ho raccolto tutte le forze ho stretto le mani attorno ai suoi fianchi dove stavo aggrappato come un glicine al palo di sostegno e dopo averlo baciato sulla fronte gli ho detto  a bassa voce  che gli volevo bene-

Mi sto commuovendo, si sta facendo l’umidità sul vetro della mia cornice.

Guarda che bel fuoco, si è ricordato di mettere anche il padellino dell’acqua sui cerchi della stufa, mi dispiace non riesca a trovare il presepe, non sa che lo ha ripreso nostro figlio Guido come ricordo-

Non preoccuparti ha talmente tanto estro che non  mi stupirei se in quattro e quattr’otto inventasse dei personaggi con le pannocchie di granoturco che sono appese ancora nel pollaio o con qualche pezzo di carta, ricordi i suoi omini fatti con la tecnica giapponese dell’origami?-

Eccolo è deluso  ma sta trafficando qui davanti a noi per cercare qualcosa nei cassetti di questa credenza .
SSSST!-

 

-Il presepe deve averlo preso qualcuno, spero non l’abbiano buttato via, dove passano quelle tre matte fanno un repulisti, mia moglie spazza via tutto con la rapidità di un tornado…qui non c’è niente….niente neanche qua….oh qui c’è una scatola di lumicini di cera,  è già qualcosa, mi sembra che ci fossero ancora delle statuine, un Gesù Bambino…. eccolo qua il Gesù è anche bellino deve essere quello del lavoretto  fatto alla scuola materna da uno dei nostri figli o di quelli di Rosa e Cele, lo prendo ….non c’è più niente….ho poco tempo per inventare qualcosa. 

Metto un pezzo di carta in centro al tavolo….

lo ricopro col muschio raccolto dietro al muro del pollaio….

faccio  una culla con la foglia secca della pannocchia…

posto il Bambino Gesù ….

metto tutto intorno i lumini e li accendo…

mi dispiace per Giuseppe e Maria a saperlo li portavo da casa ora è troppo tardi stanno arrivando vedo i fari al cancello, spengo la luce….

Giuseppe e Maria …

Giuseppe e Maria…-

Giuseppe e Maria…-

 

Le bambine sono le prime a scendere dalla macchina:


Clothy c’è una luce in cantina chiama la mamma-

Mamma vieni giù anche tu, chiama le zie io ho paura ad entrare , si sente una musica come di zampogne-

 Rosa, Marina, Guido,venite a vedere, chi ha acceso la stufa?-

 C’è anche qualcosa sulla tavola…dei lumini accesi.-

 

-Guarda Maria sono qui tutti attorno i nostri figli, guardano il presepe-

 San Giuseppe e la Madonna  siamo noi nelle cornicette qui sul muschio accanto al Gesù  Bambino di gesso-

 

-Credo di sapere chi ha messo la foto dei nonni lì  sul tavolo-

– Clothy ma dov’è lo zio Fausto?-

– Rachele ci scommetti che lo sò dov’è, apri la porta della doccia-

La fotografia

Un racconto da: Il triangolo della casa del mais

Il quadretto sul comò La coppia di sposi in posa sul sagrato della chiesa. Colori bianco e nero in un ritratto del ’52. Un’orchidea sul vestito grigio chiaro e sulla piccola bocca il desiderio di essere baciata.

Lui in grigio scuro, la cravatta come l’abito della giovane moglie, la tiene per braccio,un sorriso da uomo con denti da operaio di officina.
Sa cosa vuole dalla vita.

Una canzone nella mia mente

Sono gli amori insondabili a rivelarci la vita
 questo cercarsi per sempre questa sorpresa infinita
 le tue lame di verità e il manto gelido d’inverno
 che ti porti sulle spalle e che ti fa scappare da un sogno così bello

La luna illumina la stanza degli sposi.
Da qualche anno, lei non c’è più, lui è steso, malato nei suoi ultimi giorni, al suo fianco veglio un sonno disturbato dai dolori che a giorni lo condurranno all’Ora. Un lungo sospiro e poi:
                                                     -Ah sei qui! Da tanto? Non ti ho lasciato dormire!
Perché non sei stato nell’altra camera come hanno fatto tutti gli altri!-.

-Non preoccuparti ho dormito abbastanza, sono le ore della sveglia per i fornai queste, non dormirei comunque e poi mi piace stare qui al posto di tua moglie!-.

-Anche tu le hai voluto bene vero?
Conosco da sempre la vostra intesa, a volte la invidiavo, ero geloso, ma sapendo quanto amassi mia figlia ne ero contento e poi Maria si serviva della tua sensibilità per far ragionare il suo rude uomo dalle mani grosse.
Son contento di aver lasciato le imposte aperte , mi piace la luce della notte proiettata sugli oggetti della stanza, guarda la fotografia, finisce sempre lì il mio sguardo-.

Anche il mio.
Ora o mai più. Forse è l’ultima occasione per parlare da solo con lui, non voglio perderlo senza avergli strappato i momenti segreti del loro amore.

-Portami la foto per favore, la voglio guardare- la bacia , la porta al petto- Non c’è nessuno in casa, vorrei in questo momento sentire la canzone che suonavi con la chitarra e cantavi con mia figlia.Maria quando rimanevamo soli me la ricantava a bassa voce-.

-Gli amori diversi?-.

-Si quella.-

Sono gli amori diversi quelli che restano dentro e che vorresti cullare
sentirli cantare e fermarli nel tempo. Sono gli amori più intensi quelli che restano dentro e non riesci a scordare e che fanno più male gli amori come te

-Che belle parole!-.

-Si belle!
Anch’io voglio chiederti una cosa ma rispondi solo se non ti senti in imbarazzo.- -Chiedi pure a te racconterei tutto- .


-Parlami della tua prima notte di nozze , vuoi?-. 


-Nei particolari?-. 


-Solo ciò che ti senti di dire-. 


-Perché mi chiedi questo?-.

-Voglio conservare qualcosa di speciale del vostro amore-.

-E’ un bel pensiero. Bene! Sarà la mia eredità per te insieme all’anello che mio suocero mi donò il giorno delle nozze, da quando Maria mi ha lasciato solo, non lo porto più. Apri il comodino, mettilo al dito medio le tue dita sono più piccole delle mie, quando batterà contro quello che porti all’anulare pensa a me, alla mia storia d’amore.

Sono gli amori improvvisi ad indicarci la strada, in quella buia tempesta di desiderio e di attesa, a farci brillare gli occhi di quella luce così vera e a sussurrare parole
al fuoco dell’intesa.

-Verso mezzanotte gli invitati se ne erano andati , i miei erano tutti a letto.

Al cancello della cascina. mentre sua madre la baciava e le parlava sottovoce, suo padre tenedomi sottobraccio, con voce spezzata mi disse :

-Sii dolce con lei, te la affido!-

Mia suocera diede un’occhiata d’intesa al marito e accarezzzandomi la guancia aggiunse:

-Fai il bravo!-

Il concerto notturno dei grilli ci accompagnò fino alla camera da letto.

– Non accendere l’abat-jour lasciamo le ante aperte, la luna illuminerà la nostra prima notte-.

Cominciai a spogliarmi, girato verso la finestra. Imbarazzato.
Le mani incespicavano nei bottoni della camicia, il fruscio dei suoi vestiti scivolava alle mie spalle. Apparve davanti a me come non l’avevo mai vista.

Splendente al chiarore della luna, il corpo fino allora sognato, immaginato, rubato da carezze e baci casti era lì velato da una trasparente sottoveste bianca di seta.
Si fece avanti aiutandomi a slacciare i bottoni della camicia e riponendo ogni indumento con cura sulla seggiola in fondo al letto. La naturalezza dei suoi gesti liberò il mio corpo dalla corteccia e mi vidi per la prima volta interamente nudo nell’uomo riflesso nello specchio-anta dell’armadio.

-Sei magro ma sei fatto bene sembri scolpito-

Sussurrai:

-Tu sei una dea-

Il piacere dritto puntava verso le stelle.

Mi trovai seduto sul bordo del letto.
Un bacio.
Le mie ginocchie fecero presa sulle sue gambe mentre le mani scivolavano sulla pelle di velluto fresca, insaziabili, un turbinio nella mia testa , il suo respiro, il mio.

Cerchi disegnati con la punta delle dita sulle nostre aureole scure acceleravano la corsa del cuore.

-E’ il momento, non so niente dell’amore e mi abbandonerò completamente a te ma desidero incarnare la vita subito, perciò rimani dentro di me, non ti fermare voglio un figlio. –

-Ti abbandoni a me… inesperto dell’amore…. sei la prima, sarai l’unica.

Ho sentito tante storie del come si fa, ma ora non so più come comportarmi.-

-Non preoccuparti faremo come han fatto tutti, come vorrai tu-

-Sai da ragazzo in vacanza dai miei zii , una notte di luna come questa ho visto l’unica scena d’amore della mia vita….

Io dormivo in camera con loro, fui svegliato dallo scricchiolio del letto, spiando da sotto il cuscino li vidi lasciare le coperte, la zia si appoggiò al davanzale della finestra e lo zio si appostò dietro lei, nudi, li sentii respirare forte e gemere e vidi ogni movimento, ero eccitato ….tantissimo.
Lasciai sulle lenzuola le mie prime gocce di piacere. Era la prima volta per me. Ero diventato uomo.-

-Non ho capito molto, ma facciamo cosi anche noi, sarà così la prima volta anche per me, per tutti e due.-

-A me piacerebbe, ma, mi sembra volgare, lo fanno gli animali così.-

-Se lo fanno gli animali non può essere volgare, dai io non resisto più, il desiderio è diventato una fiamma-.

Mi alzai e accarezzandole i fianchi le sfilai la sottana. Ci accostammo alla finestra.
Il fieno verde-blù ondeggiava al vento caldo.
Baciai gli orecchi, la nuca e le spalle rotonde, le accarezzai i seni e il ventre morbido. Le posai una mano sul fianco e con l’altra mi aiutai lentamente a scivolare dentro di lei che emise un Ah!.
Cominciò la nostra corsa….
e il fiume raggiunse il mare.
Rivolta verso la campagna silenziosa, mi cinse le reni abbracciandomi all’indietro porse le labbra :

-Baciami, rimaniamo ancora un pò così.-

Sollevandola in alto tra le braccia la portai nel letto dove continuammo la lotta di sospiri, abbracci, baci, carezze alternando cavallo e cavaliere ci addormentammo.

Al canto del gallo, un raggio di sole fece brillare la rugiada di un ultima corsa poi la finestra si chiuse contro la luce del giorno.

Gli armadi vuoti, il letto disfatto, le finestre senza tende, gli scendiletto rivoltati sulle poltroncine.

E’ tutto ciò che rimane di questo amore nella casa del mais.

Ascolto il silenzio .

Soltanto gli occhi hanno parole di giorni passati, voci di bimbi, rumori di stoviglie…
 Gli anelli d’oro battono uno contro l’altro

Cùaroha

Blog foto: mais1

Una scritta con pennarello rosso sul foglio A4 affisso al cancello:

-NO,NO,NO,NON METTERE LA POSTA NELLA CASSETTA TE L’HO GIA ‘ DETTO UNA VOLTA, APPOGGIALA SUL MURETTO!!!-

Sulle nostre labbra un sorriso: 

– E’ sul piede di guerra tuo padre ! –

-Guardalo là, seduto sulla sdraio accanto all’orto, intento a fare le parole crociate!-

-Olà Censo, hai intenzione di sparare al postino, cosa ha combinato?-

Ci accoglie con una faccia da domenica a pranzo insieme:

-Dentro c’è un nido. Da un paio di settimane avevo notato il via vai con fieno e piume, poi mi sono deciso a spiare. L’ho visto, ma non ho detto niente perché temevo che la curiosità delle bambine li spaventasse .-

-Che specie è, lo conosci-

-Credo sia un codirosso, ma aspetta, guarda sulla ringhiera, è li che si postano prima di accedere all’interno, si alternano nella cova e nella caccia di cibo.

Eccolo!.Quello è il maschio. Guardalo attentamente, sembra un passero, grigio con coda arancio-rossa, una macchia bianca sulla testa nera. La femmina invece ha un dorso marrone, il petto fulvo, la coda come quella di lui.

Sono stato ad ascoltare il richiamo del seduttore:

TIC   TIC   TIC

sempre lì accovacciato sull’inferriata a mostrare la sua livrea il bulletto, finche è arrivato il suo amore che ha cominciato a costruire il nido. E’ compito della femmina quello, ma credo l’abbia aiutata anche lui-

– Scommetto che li hai spiati anche nell’intimità, sei entrato nella loro camera da letto, li hai visti nudi?-

-Hai sempre voglia di scherzare tu! No, non ho visto l’accoppiamento, ma per me le uova sono già state deposte, aspettavo te per vederle.

Andiamo facciamo piano.-

All’apertura della portina , un frullo , l’uccello scappa via lasciando filtrare la luce sulle 6 uova azzurre.

-Visto! Ora chiudi potrebbero abbandonarle, rischierei di non vederli nascere.-

Una settimana di ospedale, il vecchio è distrutto, a malapena riesce a scendere dall’auto, col sorriso strappato sul volto triste, prima di varcare il cancello mette mano alla cassetta della posta, delicatamente sposta gli implumi e li conta :

-Uno , due , tre, e tre uova che non si apriranno più, è andata abbastanza bene, temevo il peggio anche per loro-

Fine giugno. C’è un uccellino accovacciato sul legno della sdraio vuota accanto alle piantine di pomodoro: 

SREE,  SREE –

Un rullante canto breve e melodioso accompagna una fila di persone a piedi dietro una lunga automobile luccicante nera.

16 marzo 2003

Al di sopra della cima degli alberi

16 marzo, venerdì sera

Il fornaio, posa in fondo al letto di Neli una borsa e comincia a togliere tutto ciò che la moglie gli ha telefonato di portare elencando ad alta voce ogni cosa, poi estrae dalla borsa un foglio sul quale ha stampato col computer di casa le parole cantate in autostrada la sera precedente, lo porge alla moglie che dopo averlo letto letto gli dice con voce flebile: «Che belle parole, appendilo di fronte al letto, lo rileggerò durante la giornata e penserò di averti accanto. Cos’altro hai tra le mani. Una foto che ci ritrae tutti e quattro, bravo hai fatto bene a metterla nella cornicetta di plexigas, sta in piedi da sola, la appoggio qui sul comodino così vi bacio e mi sembrerà di avervi qui con me.  Il primo giorno di chemio mi ha distrutta, domani mi tagli i capelli, sono troppo stanca oggi, non ho nausee, nè vomito, ma un forte dolore allo stomaco. Pazienza. Non voglio sapere cosa ti ha detto il dottore, tu non sai fingere, mi diresti tutta la verità, e se mi dicessi qualcosa di grave mi abbandonerei allo sconforto, invece voglio essere forte. Non parliamo della malattia, racconta piuttosto come vanno le cose a casa».

«Tutti chiedono di te, il telefono è incandescente. Nel convento della zia a Desio e alla chiesetta del paese gli amici e i conoscenti stanno pregando lunghe catene di rosari per la tu guarigione».

Squilla il telefono: «Sono Suor Luigina, appena tornata dal Madagascar, chiamo dalla casa-madre in Francia, ma tra una settimana torno al paese così ci vediamo, mi fermerò per quattro mesi. Neli stai sicura guarirai, il mondo ha bisogno di persone generose come te. Non ti lasciamo andare. Sei una roccia e durerai ancora per tanti anni, abbi fiducia, la medicina fa miracoli. Confida nel Signo-re. Fai coraggio a Stefano, ne ha bisogno più di te ora, dovrà per un po’ tirare avanti da solo la baracca e con la sua fantasia chissà come ne uscirà da questa situazione. Saprete trasformare tutto in qualcosa di importante. Vi saluto. A presto».

La stanzetta dell’ospedale ha una linea privata e Stefano in due giorni ha distribuito il numero di telefono a tutti chiedendo di chiamarla per tenerla occupata in quella cella con la finestra sigillata.

17 marzo 2003

Il telepass ha fatto alzare la sbarra, Stefano è in autostrada. Sterzando al silenzio per evitare i pensieri che da giorni non lo lasciano dormire, pigia il tasto ON sull lettore CD dell’autoradio alzando il volume quanto basta. Il dischetto audio in policarbonato incastrato lì da anni diffonde musica e parole che conosce quasi a memoria; Bruce Springsteen lo accompagnerà fino all’uscita del casello di Bergamo. The boss canta di uomini “on the road”, vagabondi perduti per le strade, come prima di lui il giovane Dylan e prima ancora Woody Guthrie. Born to run, nato per correre, non è il suo caso, ha sempre odiato guidare ma deve fare in fretta, non vuole farla stare in pena in quel letto bianco d’ospedale. Terrà il suo piede destro incollato all’acceleratore fino al limite della velocità consentita; non ci sono segnali di stop, nessuno riuscirà a farlo rallentare. Solo con se stesso come ogni vagabondo su quel serpente d’asfalto non può tornare indietro. Seduto al volante stringe la fiducia fra i denti per cercare di imparare a camminare come gli eroi che pensava sarebbe potuto diventare dopo tutto questo tempo in cui ha scoperto di essere proprio come tutti gli altri.

Uno stormo di gabbiani reali incrociando la sua corsa, sorvola il ponte sul fiume seguendo la traccia grigiover-de dell’acqua inquinata da veleni e scarichi urbani. Un’altra triste realtà della moderna quotidianità, queste creature del mare hanno scoperto l’inesauribile risorsa alimentare rappresentata dall’immondizia prodotta dall’uomo. I pendolari del cielo, ogni giorno percorrono la stessa rotta dal lago alla discarica e ritorno. Se avesse le loro ali…

Il motore dell’anima corre sulla strada per un bacio senza fine, fino alla stanza d’isolamento, dove lei prigioniera lo aspetta. Gli sembra di sentire piangere l’intera città, incolpando la verità che li ha buttati a terra. Leucemia.

Raserà il cranio di Neli, prima della cura sezionerà il suo dolore. Come un angelo sfinito lei abbandonerà la testa sulla sua spalla, mentre in verità lui che ha estremo bisogno della moglie si aggrappa alla sua vita, è innamorato con tutta la magia che comporta.

L’autostrada prende fuoco, esplode di eroi a pezzi alla guida della loro ultima possibilità. Una trappola per topi invasori in un circuito pieno da scoppiare. Ognuno è lì che corre fuori dal suo finestrino. Evasi dalle loro tane di provincia, lanciati verso Milano, una trappola mortale, un invito al suicidio. Cerchioni cromati, motori a iniezione, diesel di muratori viaggiano a cavallo della linea di mezzeria. Ogni muscolo del suo corpo è in tensione, questa corsa gli sta strappando i tendini.

Una fila ininterrotta di forze motrici con le ruote enormi occupa la prima corsia. Non riesce a trovare spazio per muoversi velocemente, farebbero tutti meglio a scansarsi, perché sta correndo sulla corsia di emergenza. Sente il rombo del motore. Con la fede nella sua piccola utilitaria sta gridando il nome della sua donna nel freddo solitario mattino di marzo..

Lui non si è mai sentito un eroe, tutto quello che può fare è tirare il collo agli sporchi cavalli della sua vettura con la speranza di arrivare in qualche modo senza fare danni. Gli manca l’aria, abbassa il finestrino. Correrà ogni giorno, non tornerà senza di lei, camminerà con lei sul filo del rasoio perché è un viaggiatore solitario e im-paurito ma deve sapere cosa si prova.

Il sorriso è una ferita di un pallido rosa sulle labbra di Neli, la chemioterapia sta uccidendo il suo sangue malato. Vorrebbe morire con lei ma deve trovare il modo di arrivare presto all’interno del reparto di ematologia perché nel profondo della sua anima sente che andrà tutto bene, andrà tutto bene. Lo sta aspettando versando lacrime sulla città. Nel portafoto di metallo l’immagine di lei si perde tra le ultime luci della notte. Fuori la strada è in fiamme in un vero valzer di morte. Freccia a destra, la sbarra apre le porte della città. Respira veleno, rialza il vetro. Ferma la musica. Non è nato per correre.

In una stanza dell’ospedale Neli in angoscia, attende il suo uomo:

*Sembra così bizzarro questo tempo

d’attesa in una stanza

io che stavo al volante

mentre lui raccontava le sue storie

insieme ad ascoltare bella musica.

Lo immagino alla guida

distratto tra le nuvole e il paesaggio

e prego Dio che lo conduca attento

che me lo lasci accanto.

Arriverà con il suo amore intenso

principe della nostra consuetudine

azzurro che colora la speranza

e la tragedia vincerà per due.

Non sarà certamente uno qualunque

l’eroe che la sua donna vedrà bella

anche quando sarà senza capelli.

Io mi abbandonerò sulla sua spalla

alla sua forza che sorregge entrambi.

Starà correndo sull’asfalto ardente

per essermi vicino a consolare

quando intorno al mio viso

non ricadranno più le chiome bionde.

Ma lui che sa ogni cosa

della mia vita, d’ogni spina e rosa,

conosce le parole necessarie

i gesti nati dalla tenerezza

e pure nel dolore mi sa amare.

L’attesa è un orologio che va piano

ma lui chissà quanto si sente solo

vorrei che fosse già passato tutto

che mano nella mano

percorressimo ancora tanta vita

che finisse al più presto questa prova

che ci tiene lontani

a volte disperati, a volte soli

ma guarirò, per abbracciarlo ancora.

Sta correndo, lo so, starà sperando

che nessuno gli ostacoli il sorpasso.

Forse vorrebbe avere tra le mani

la cloche d’una Ferrari

o meglio ancora due potenti ali.

Ma giungerà per tempo

con lacrime nascoste nel sorriso.

Gli dirò ch’è l’eroe della mia storia

il dono più prezioso della vita.

La vigilia di Natale nella casa del mais

Blog foto: mais1Blog foto: mais1Blog foto: mais1Blog foto: mais1

ll tavolo e le sedie sono contro il muro, il piano della vecchia credenza è libero, carte, vasetti, fotografie, via tutto, li hanno fatti sparire, son rimaste le due foto incorniciate, uno accanto all’altra, i due coniugi si guardano:

-Sembra ancora più vuoto lo scantinato stasera-

-Hai ragione, fa anche più freddo, potessi mettere qualche pezzo di legna nella stufa per diffondere calore in questa stanza-

-A cosa servirebbe, oramai la vigilia di Natale la festeggeranno da qualche altra parte.-

-Mi sarebbe piaciuto vedere le bambine scartare i regali degli zii –

-Per Rachele certamente un gioco, ma Clothy, non hai visto come si è fatta grande?. Ha dodici anni, è una signorina, le zie sicuramente avranno pensato a qualche cosa di diverso da un giocattolo-

-Eh  sì, io non ci arrivo mai a queste cose, non me ne sono mai accorto che gli anni passavano mentre figli e nipoti diventavano grandi e uno alla volta se ne andavano per la loro strada; ora che me ne sono andato anch’io chi consume-rà tutta la legna che avevo accatastato?-

– Ti preoccupi per la legna, a me mancano tanto le lucine del presepe che aveva costruito  nostro figlio Guido; ogni anno illuminava a festa questo stanzone, ricordi quando rimanevamo soli noi due, spegnevamo tutto e stavamo a guardare le statuine mentre fuori soffiava il vento o fioccava-

-Sì, poi mi mandavi fuori a portare qualche briciola ai passerotti  infreddoliti che saltellavano e pigolavano alla porta-

-E’ stato tutto così bello!-

-Così breve-

-La nostra vita……


arriva qualcuno-

-Da come ha sbattuto la portiera e da questo rumore metallico credo sia nostro genero Fausto il marito di Neli.-

-Sì, è proprio lui, nessun altro scavalca il cancello, hai sentito il tonfo?. E’ già alla porta, vedo la sua figura dietro ai vetri.-

 

-Brrr che freddo! Meno male che la porta dello scantinato è sempre aperta, non c’è niente da rubare qua. Ho fatto bene a non ascoltare Neli, son venuto subito e preparo la sorpresa della vigilia. Le  tre sorelle  e il fratello Guido hanno deciso di aprire i regali  su nell’appartamento al primo piano, dalle bambine, ed io invece allestisco qui come una volta.

Ora accendo subito la stufa, non risparmio la legna, tanto c’è  n’è ancora una montagna la fuori da far sparire, poi tiro il tavolo in mezzo alla stanza, dov’era una volta, ci metto sopra il presepio che sicuramente troverò ancora nella  scatola di cartone chiusa in  ripostiglio e starò qui ad aspettare che arrivino gli altri, e quando entreranno farò partire il lettore Cd con le  cornamuse  scozzesi. Vado…

Eccoli lì al loro posto gli sposi, ora vi farò stare al caldo e poi riscalderò ancor di più i vostri e gli altri cuori.

Che bel pensiero, come mi fa star bene  pensare di vederli qui tutti, lui ha sempre qualche trovata per coinvolgere la nostra famiglia eppure non è nostro figlio-

-Per come mi ha accompagnato negli ultimi mesi per me è come lo sia stato sempre. Quando mi vegliava la notte, lui non stava nella cameretta accanto, entrava a letto con me, parlavamo invece di dormire. Mi diceva  quanto i nostri figli ci amassero e voleva sapere tutto della nostra storia, che  io e te eravamo il suo modello di amore di coppia e come genitori. Quanto mi sono aperto con lui! Gli ho raccontato momenti che nessuno ha mai ascoltato, i nostri momenti più belli, più intensi-

-Anche io ho sempre sentito questo suo affetto.

La sera prima di “andarmene”, mentre  si abbassava per darmi l’ultimo bacio, li-sciandogli  la guancia con una carezza gli ho sussurrato all’orecchio di prendersi cura di te al mio posto se non fossi tornata a casa-

-Hanno mandato lui ad avvisarmi della tua morte, Guido e le ragazze non avevano il coraggio oppure non sapevano come fare, invece lui, che grinta!. Mi  ha dato quella pugnalata ed è stato lì fermo davanti a me, si è lasciato scrollare, mi ha lasciato imprecare e poi mi ha accolto tra le braccia come un bambino.

E come un bambino mi sono affidato a lui quando con il peggiorare della malattia le mie forze non mi hanno più sostenuto. La delicatezza con la quale mi lavava, mi vestiva!. Non ero imbarazzato con lui e quando il prurito mi tormentava tutto il corpo mi abbandonavo  al sollievo e al piacere del suo massaggio con il talco mento-lato come se le sue mani fossero le tue…

-E’ vero, ero vicina a lui in quei momenti ti toccavo con le sue mani , ti ho stretto con le sue braccia e ti ho baciato con le sue labbra quella sera nella doccia quando tu  sfinito e senza forze ti sei completamente abbandonato a lui –

In quel momento  ho sentito la tua presenza , ho raccolto tutte le forze ho stretto le mani attorno ai suoi fianchi dove stavo aggrappato come un glicine al palo di soste-gno e dopo averlo baciato sulla fronte gli ho detto  a bassa voce  che gli volevo bene-.

Mi sto commuovendo, si sta facendo l’umidità sul vetro della mia cornice.

Guarda che bel fuoco, si è ricordato di mettere anche il padellino dell’acqua sui cerchi della stufa, mi dispiace non riesca a trovare il presepe, non sa che lo ha ripreso nostro figlio Guido come ricordo-

Non preoccuparti ha talmente tanto estro che non  mi stupirei se in quattro e quattr’otto inventasse dei personaggi con le pannocchie di granoturco che sono appese ancora nel pollaio o con qualche pezzo di carta, ricordi i suoi omini fatti con la tecnica giapponese dell’origami?-

-Eccolo è deluso  ma sta trafficando qui davanti a noi per cercare qualcosa nei cassetti di questa credenza .
SSSST!-

 

-Il presepe deve averlo preso qualcuno, spero non l’abbiano buttato via, dove passano quelle tre matte fanno un repulisti, mia moglie spazza via tutto con la rapidità di un tornado…qui non c’è niente….niente neanche qua….oh qui c’è una scatola di lumicini di cera,  è già qualcosa, mi sembra che ci fossero ancora delle statuine, un Gesù Bambino…. eccolo qua il Gesù è anche bellino deve essere quello del lavoretto  fatto alla scuola materna da uno dei nostri figli o di quelli di Rosa e Cele, lo prendo ….non c’è più niente….ho poco tempo per inventare qualcosa. 

Metto un pezzo di carta in centro al tavolo….

lo ricopro col muschio raccolto dietro al muro del pollaio….

faccio  una culla con la foglia secca della pannocchia…

posto il Bambino Gesù ….

metto tutto intorno i lumini e li accendo…

mi dispiace per Giuseppe e Maria a saperlo li portavo da casa ora è troppo tardi stanno arrivando vedo i fari al cancello, spengo la luce….

Giuseppe e Maria …

Giuseppe e Maria…-

Giuseppe e Maria…-

 

Le bambine sono le prime a scendere dalla macchina:

-
Clothy c’è una luce in cantina chiama la mamma-

-Mamma vieni giù anche tu, chiama le zie io ho paura ad entrare, si sente una musica come di zampogne-

– Rosa, Marina, Guido,venite a vedere, chi ha acceso la stufa?-

– C’è anche qualcosa sulla tavola…dei lumini accesi.-

 

-Guarda Maria sono qui tutti attorno i nostri figli, guardano il presepe-

– San Giuseppe e la Madonna siamo noi nelle cornicette, qui sul muschio accanto al Gesù  Bambino di gesso-

 

-Credo di sapere chi ha messo la foto dei nonni lì  sul tavolo-

-Clothy ma dov’è lo zio Fausto?-

-Rachele ci scommetti che so dov’è, apri la porta della doccia-.

Serafino aveva un sifolo

           Serafino aveva un sifolo       
Come piccoli rimorchiatori , consapevoli della nostra inesperienza, sereni, uniti come anelli della catena, trasciniamo la stanca nave all’estremo confine del porto, per il viaggio verso l’oceano infinito.

Siamo tutti qui dietro la lunga automobile nera metallizzata, noi adulti in disparte e tutti i ragazzi a fare ghirlanda attorno al tuo legno, qualcuno piange, altri mandano un bacio, Francesca tocca la cassa prima che il portello si chiuda, Stefano, Ale, Claudia, Emanuela, Simone e Cristina stanno a guardare mentre la vettura si allontana.
Matteo in macchina sta già correndo verso la forneria, deve continuare la consegna dei sacchetti di pane, asciuga gli occhi infilando la mano sotto i ray-ban.
Sulla strada di casa, la piccola bionda Rachele si affianca, la sua manina mi aggancia:
“Zio ma qui sono tutti tristi, ti prego fammi passare questa malinconia, inventiamo una delle tue storie”.
Stringo la piccola mano ingoio in nodo che mi soffoca il respiro e inizio una filastrocca:

”                    All’ombra del tiglio, la moglie ha detto al figlio,
cogli il giglio a un miglio dallo scoglio,
posalo su una teglia o su un foglio,
sulla paglia della gabbia dei conigli è meglio…….

vuoi continuarla tu ora Rachele?”
Un refolo di vento muove le foglie del viale alberato, sento la “presenza”.
Una canzone ascoltata trent’anni, una canzone del suo essere bambino tra i campi di granturco:

“Serafino aveva un sifolo,

sifolava tanto ben

e quando c’era nigolo

il cielo diventava seren.

Serafin se fet, so che, so mia se fa ,

sifule ,sifulerem insiem.

Tutte le donne facevano silenzio

per ascoltar quel sifolo

per ascoltar quel sifolo.

Tutte le donne facevano silenzio

per ascoltar quel sifolo

sifolava tanto ben”.

…..e poi cominciava a fischiare
.

Comincio a correre, la cravatta mi stringe la gola , allento il nodo, allungo il passo, la voce di Rachele mi chiama, si allontana, mi sbottono la camicia, fa caldo alle 10 del 26 giugno, corro, corro; il fischio continua.
Sento sempre più forte una canzone dei Subsonica “Strade”:

                            FORSE STA A POCHI METRI DA ME QUELLO CHE CERCO
E VORREI TROVARE LA FORZA DI FERMARMI,
PERCHE’ STO GIA’ SCAPPANDO
MENTRE NON RIESCO A STRINGERE PIU’ A FONDO
E ORA CHE STO CORRENDO VORREI CHE FOSSI CON ME CHE FOSSI QUI.
SENTO A POCHI METRI DA ME QUELLO CHE C’ERA
E VORREI TROVARE LA FORZA DI VOLTARMI
PERCHE’ SE STAI SVANENDO
IO NON CI RIESCO A STRINGERE PIU’ A FONDO
ORA CHE SOTTO IL MONDO VORREI CHE TU FOSSI QUI.


Arrivo al cancello della casa; chiuso; lancio la giacca sulla ringhiera la scavalco e mi dirigo verso l’orto. Seduto al muretto accanto alle piantine di pomodori ora grossi e verdi, guardo le galline, non si accorgono della mia commozione e mi lascio andare, qui non mi vede nessuno.

Al cancello Rachele mi chiama, ho tutto il tempo di sciacquare il viso e le guance alla fontanella nel prato; arrivano anche gli altri, sento lo scatto della serratura automatica, si fermano sotto il portico, nessuno se la sente di scendere nello scantinato al fresco, la “casa di tutti” ora è solo di un’ erede, tutti gli altri non si sentono di varcare la soglia, non ce la fa neanche la nuova padrona l’ultima delle sorelle, la madre della piccola e di Clotilde.

Arrivano tutte e due insieme le ultime nipoti:
“Zio, che corsa non riuscivamo a starti dietro, sei il solito matto, tutti seri e tu via nel vento”
Clotilde ha dodici anni , intuisce, appoggia la testa sulla mia spalla:
“Verrai ancora a trovarci in questa casa ora che non c’è più il….
Zio lo incontreremo ancora il nonno?”
“Io lo incontro ogni volta che voglio.”
“E dove indicami il posto vorrei esserci anch’io”
Apro la camicia e punto il dito al centro del petto.
“Qui”.