Sul treno della sera viaggiano uno in fronte all’altro due giovani. Marco e Paolo lavorano nello stesso ufficio, eppure non si conoscono; non si sono scambiati una parola in questi primi mesi di lavoro a tempo determinato; aspirano al posto fisso con la rassegnazione di chi sa già di dover eseguire un lavoro alienante e senza creatività; tacendo copiano fogli e fogli; hanno accettato condizioni di lavoro aleatorie senza poter obiettare. Ignorati dai titolari e dai colleghi che, in una povertà di parole, idee e interessi, mettono al centro del loro dire, fare e calcolare, solo se stessi e lasciano ai margini gli altri.
La cuffia infilata a tappare gli orecchi, Marco dondola la testa al ritmo di una musica assordante ma per gli altri silenziosa; con le dita tamburella freneticamente sul tablet commentando o approvando i vari post che scorrono sulla sua bacheca elettronica con un linguaggio di singulti e segni che lo sta portando sempre più verso una forma di autismo spirituale. A prima vista sembra l’immagine della solitudine necessaria per ritrovare se stessi, in realtà è solo un isolamento colmato da suoni e voci martellanti che lentamente ottundono il cervello e smorzano sul nascere ogni pensiero vero.
Davanti a quello schermo, appare come un uomo con le mani alzate in segno di resa o di adorazione. La sua è una vita squallida; immerso in azioni ripetitive, quando stacca dal lavoro e s’immette in un orizzonte diverso e più affascinante, dopo un primo sussulto ritorna ad essere annoiato, a riprendere gli stessi gesti, a rivivere la costante monotonia.
Vive all’insegna della noia, nella scontata certezza che ogni giorno non reca in sé nessun germe di novità, di freschezza, di speranza. Il suo viso è una maschera di malumore e malcontento.
Ha perso l’abitudine al silenzio, perché ha paura di confrontarsi con la verità.
Senza questo bagno di quiete, la verità si appanna e si dissolve, la coscienza resta sorda e inerte, il cuore perde il suo battito d’amore. Rifiutando di sostare almeno qualche minuto al giorno in quell’oasi precipita nel frastuono della città in agguato sulla strada della sua vita.
Il mostro della mediocrità vestita di grigiore, teme la limpidezza della verità e dell’impegno serio ed esigente e lo nutre di chiacchiere, affidandolo allo sfarfallio delle mode che gli propongono realtà materiali a cui si aggrappa ferocemente ma che, dopo il primo momento di gioia, si rivelano fredde come pietre, incapaci di dare vita.
Si è estinta in lui la capacità di desiderare; non trovando il tempo per conoscere nulla, compra dai mercanti dell’etere beni già confezionati, ma siccome non esistono mercanti di amici, non ha amici. È diventato come l’ idolo prezioso che tiene tra le mani: nero, gelido, lucido, tecnologico ma morto e immobile.
Una «povera vita» insapore e incolore, condotta anche in «luoghi poveri e indifferenti», si può trasformare in una «vita povera» ma libera, fiduciosa, «fiorita», limpida e gioiosa.
L’avere una convinzione propria e tenerla ben eretta come una fiaccola sopra la marea delle teste «omologate» è l’ impegno serio e severo di Paolo. La folla anonima può persino essere un orizzonte sicuro in cui riparare, dissolvendo in essa le proprie paure. Nella massa grigia della collettività riesce a vedere una comunità viva in cui le diversità creano armonia.
Abbatte il muro dell’individualismo ascoltando e guardando la varietà dell’umanità che lo circonda: una ventata d’aria fresca a volte turbinosa e rumorosa ma capace di spazzar via l’atmosfera asfittica dell’isolamento monocorde e noioso del luogo di lavoro.
La vita per Paolo è un progredire, la ricerca è scoprire sempre nuovi orizzonti, l’esperienza è esplorazione di nuovi territori del conoscere e del fare. C’è, però, un rischio ed è quello di tagliare le radici o di staccarsi dal tronco secolare della storia.
Liberi da questi legami, a prima vista sembra più agile il movimento, più vivace la crescita, più intensa la capacità di produrre. Ben presto, però, ci si accorge di essere diventati simili a un albero dal fogliame appariscente e abbondante ma dai frutti bacati e striminziti, proprio perché manca l’alimento autentico. Ecco, allora, la necessità di rivolgere lo sguardo e di protendere verso il passato con le sue straordinarie ricchezze di cultura, di esperienza, di spiritualità.
Vecchio e nuovo sono in contrappunto, ma non necessariamente in contrasto, anzi, debbono convivere ed essere in continuità, nella consapevolezza che non si comincia mai da zero.
Ci sono realtà semplici e quotidiane che sono capaci di generare e di nutrire. I desideri nascono dal distacco, da ciò che sembra scarto ed è invece dotato ancora di energia.
Paolo ha ritrovato la capacità di scoprire le piccole novità di ogni giorno con la fiducia in una grande sorpresa che ogni volta può attraversare all’improvviso la sua vita.
Dietro al vetro del finestrino, nel riconquistato silenzio interiore, insegue e ascolta le farfalle che gli volano per la testa, concentrato in un raccoglimento quasi mistico perché il loro battere d’ali è impercettibile.
La primavera è tornata e ha adempiuto come ogni anno ai suoi doveri. I ciliegi si sono rivestiti di bianco, il vento si è divertito tra i rami parati a festa, una nevicata di petali bianchi ha ricoperto il terreno, e ora, a fine maggio, tra le fronte lussureggianti occhieggiano i rossi luccicanti frutti carnosi.
A bassa voce ripete un ritornello che la nonna gli cantava da bambino:
I cinquecento cavalieri con la testa insanguinata
con la spada sguainata indovina che cos’è.
E sono, sono le ciliegie, e sono, sono le ciliegie
e sono, sono le ciliegie che maturan nel giardin.
La immagina seduta all’ombra dell’albero a raccontare storie, ridere o tacere felice.
Contaminato da una gioia incandescente l’avvolge con le sue braccia vive, due giovani ali che non pretendono nulla se non librarsi nel cielo.