Nostalgie di dicembre
Sono qui, una civetta a stomaco vuoto in un vecchio rudere,
il collo ritirato tra le ali e gli occhi dolci come lampade a petrolio,
la grandine e il temporale hanno limitato la mia caccia nella notte,
scruto oltre la finestra in attesa.
Il sole si è ritirato, la notte si sta allungando,
la luna nel perigeo si affaccia nel cielo.
Verso est vedo sorgere le costellazioni che domineranno il cielo nell’imminente inverno:
prima il Toro e successivamente i Gemelli.
La mano come sestante calcola la distanza tra i due astri,
Castore e Polluce, così vicini così lontani,
una spanna nello specchio della finestra,
migliaia di anni luce nell’infinito color inchiostro.
Vorrei raggiungere i due fratelli per stringerli a me.
Puntare lo sguardo come un raggio per trafiggere la nube della memoria non mi aiuta;
per fare questo viaggio nel silenzio eterno dei pianeti ho bisogno di una canzone.
Un motivo di allora mi apre la porta in un luogo dove lo so che non tornerò.
La cameretta dei ragazzi dipinta di giallo e rosso,
i lettini col copriletto azzurro,
i poster alle pareti realizzati con un collage di carte da regalo,
i pupazzi di peluche,
Gigi l’inseparabile orsetto di Ale da trent’anni accanto al suo cuscino,
il letto vuoto di Matteo che se n’è andato un giorno di maggio,
le costruzioni con i mattoncini Lego sulla mensola,
il tappeto sul quale ci rotolavamo, cavallo io e loro cavalieri.
Rivedo i visi, gli sguardi innocenti,
sento risate, mormoro i nomi,
respiro il profumo dei capelli di seta,
mi inchino a rubare un bacio nel sonno dei loro sogni incantati.
Cosa resterà?
Fiori nascosti in un libro, foto ingiallite e qualche biglietto sepolto in un cassetto.
Que reste-t-il?