Cireneo (Grappoli di luppolo)

il mio racconto per la IV edizione di Racconti Bresciani per Historica Edizioni

Cireneo

 

Nel grigio pomeriggio di fine febbraio un uomo e il suo cane camminano
fiancheggiando il fiume che scorre veloce dopo le abbondanti piogge della stagione.
Si fermano, là, dove un tronco sradicato di betulla blocca il passaggio.
Si siedono come sempre nello stesso posto, lui sul masso in pietra grigia, il cane accucciato ai suoi piedi; ascoltano il canto dell’acqua mentre ammirano sulle sponde l’esplosione della fioritura dei bucaneve, i fiori della vita e della speranza. Le bianche campanelle pendule scortate da foglie glauche a forma di nastro punteggiano il terreno umido e pesante tappezzato da foglie secche di robinia e platano.
A primavera il bruno mantello invernale sarà ricamato dalla serpeggiante pervinca lilla e più avanti dal convolvolo che avvolgerà con le sue spire ogni arbusto lottando con il luertìs, l’invasore estivo dai germogli rampicanti, gustosi in insalata.
Più a valle si intravede la diga della centrale elettrica; è là che vengono recuperati i corpi degli annegati. Nudi. Quando scompare qualcuno si corre subito alla diga per vedere se c’è un corpo nudo; risalendo lungo le rive si ritrovano gli indumenti ben piegati accanto alle scarpe.
È sempre stato così il rituale del suicidio su questo fiume.
Il vecchio trae dalla tasca un pezzo di pane secco, lo lancia in aria, il cane lo azzanna e comincia a sgranocchiarlo.
« Mangia, mangia, a me è passata la fame ».
Il silenzio avvolge la solitudine del luogo.
Scivolando nelle luci scintillanti sull’acqua i pensieri del vecchio si affacciano allo specchio dell’anima per fissare lo sguardo nel guazzabuglio della coscienza. Gli anni hanno portato con sé l’appannamento mentale e la debolezza dell’organismo passando tra le tempeste della vita che ora è quasi un fuoco spento; c’è ancora qualche brace sotto la cenere ma non c’è più la voglia di soffiare per ravvivarla; privo di vigore per pensare, creare, donare, senza il desiderio di ricominciare si sente come un’ombra che passeggia.
Le mani che hanno lavorato di vanga, piccone, scure e falce fanno da culla alla sua testa; le dita grosse e ruvide rastrellano la chioma canuta scontrandosi con la velata malinconia per le assenze che si sono fatte numerose. Il ricordo della moglie morta è quanto basta per fargli pensare che non ha più ragione di vivere senza di lei.
Guardando il cane che lo sta fissando negli occhi ripensa alle parole che la sua sposa gli disse poco prima di morire una sera di ottobre – Non ti lascio solo. Troverai qualcuno che ti starà accanto per confortarti e proteggerti –.
Qualche giorno dopo il funerale, tornando dal cimitero, il vecchio si accorse di una presenza alle proprie spalle: un meticcio con sangue di lupo nelle vene lo seguiva a distanza, passo dopo passo; squadrandolo con ammirazione timorosa due fiamme liquide comunicavano la tristezza di vivere da vagabondi, due richieste umide in quegli occhi: un abbraccio e il dono reciproco di affetto.
Puntando il muso verso lui pareva dicesse – io ti appartengo –.
Era penoso essere soli, soli come quel cane, non si voltò per attirarlo a sé ma se l’animale lo avesse seguito fino al cancello di casa lo avrebbe fatto entrare e lo avrebbe tenuto con sé.
Il cane non passò oltre, rivelando di appartenere alla schiera degli esseri generosi che affiancano i poveri cristi per aiutarli a portare un peso difficile da sostenere; da quel momento ebbe un nome: Cireneo.
In breve tempo, con rapidità sorprendente tra i due si è stabilito un legame saldo in un silenzio consolatorio più delle futili parole tra uomini.
Ogni mattina il devoto amico a quattro zampe attende accanto alla sedia la carezza, un colpo di spazzola sul pelo e ricambia l’omaggio con uno scodinzolio allegro riversando amore all’essere per cui sarebbe pronto a dare la vita contento.
« Hai le orecchie tese, le senti anche tu le voci Cireneo?.
Mi stanno chiamando verso un porto al di là di ogni lontananza; ciò che sono stato se ne vuole andare senza fretta verso un posto che non conosco, dove spero di trovare qualcuno che mi manca troppo ».
Rinunciare al privilegio della presenza è un gesto che si prepara nel profondo del cuore. L’inutilità della sofferenza scatena una crisi incontrollabile: il sottile processo per cui lo spirito punta alla morte. Uccidersi è confessare che non vale la pena vivere quando vivere non è facile. La disperazione affonda a spirale nei gorghi e nei mulinelli del fiume.
« Mi lascerò scivolare fino a che il vortice mi trascinerà contro le rocce. Lentamente uscirò dal tempo verso un futuro al di là da ogni stella.
Non mi spoglierò come gli altri. Nemmeno le scarpe. Sarà più facile andare giù. I vestiti impregnati appesantiranno il mio corpo.
Quando mi ripescheranno, penseranno ad un incidente, non al suicidio ».
Infila il guinzaglio del cane su un moncone di ramo della betulla, più tardi arriverà il pescatore, lo libererà e si occuperà di lui ».
È giunto il momento di andare, non ha paura di morire.
Un ultimo sguardo:
« Stai tranquillo Cireneo, faccio un giro in quest’acqua gelida ».
Si tuffa. La corrente lo tiene a galla, si lascia trasportare, non ha fretta di morire, ci penseranno i gorghi.
I veri amici vedono i tuoi errori e ti avvertono, non mentono su ciò che provano, perché non possono mentire e così Cireneo comincia ad abbaiare, abbaia forte, guaisce, si impunta sulle zampe, raspa la terra, strattona il guinzaglio. Colpi da rompersi l’osso del collo. Perle rosse scivolano sul collare. Ulula la sua disperazione al dio dei cani.
I cani quando amano, amano in modo costante, inalterabile fino all’ultimo respiro.
Il legno cede e si spezza.
Cireneo si butta nell’acqua gelida, zampettando si avvicina sempre più al suo compagno.
« Vai via Cireneo, ti prego torna a riva, vai in salvo, hai sempre avuto paura dell’acqua, vai salvati finché sei ancora in tempo ».
Due grandi pupille d’oro chiaro, affettuose e umane interrogano con tenerezza, è impossibile credere che lì non vi sia un’anima. L’amico fedele non ha il dono della parola ma suoi occhi dichiarano la grande offerta del suo cuore muto, parole espresse da uno sguardo patetico e smarrito:
-Io vengo con te-.
Il cane annaspa, sta andando giù.
Due grani di sale sulle pupille, le lacrime navigano negli occhi dell’uomo mentre un grido strozzato martella contro i denti:
– Cireneo, tu non devi morire…ti porto fuori –.
Infila una mano nel suo pelo, lo agguanta e con tutte le forze si batte contro i gorghi; è ancora forte il vecchio, l’attaccamento alla vita dell’amico moltiplica il suo vigore.
Sulla riva, il vecchio, il cane, gli abiti e il pelo inzuppati piangono acqua.
Lo bacia, lo stringe al petto, lo accarezza .
Lo lecca, gli zompa addosso, scodinzola, accoglie felice carezze e tirate d’orecchie.
« Dai, forza, corriamo a casa, faremo un bagno caldo e ci siederemo accanto alla stufa, io riproverò a cantare alla vita e tu mi farai il coro ululando alla luna ».
Uniti nell’inumidito imbrunire della sera, uomo e cane affrontano la notte.
Una raffica di vento agita le fronde delle acacie scuotendo pensieri fragili nascosti come nidi tra le foglie.
Le stelle brillano, qualcuno le ha baciate una ad una.