Dodicidio: un progetto nato dalla mente di Fabio Musati ed eseguto dagli autori F.I.A.E.
Un libro scritto a ventisei mani e tredici cervelli. Dodicidio non poteva essere tredicidio e nemmeno undicidio. Dodici per un anno di folli tentativi, dodici come dieci dita più un pugnle e una pistola. Dodici come una famiglia di diseredati, tutti con la stessa faccia. È sempre lui, che rincorre un incubo, e che dall’incubo si fa fregare. Ma chi la spunterà?.
MARZO di falconiere del bosco
Piove. Sono le cinque del mattino, non riesce a dormire, il ticchettio sui tetti suona come la malinconica ballata trasmessa alla radio: The rain song, che sta ascoltando da un auricolare.
Un capo contabile non è un compositore ma la musica come i numeri la capisce al volo.
Le regole della musica devono essere estratte da un principio evidente, che non può essere conosciuto senza l’aiuto della matematica. I differenti toni di una scala sono legati ai rapporti fra numeri interi.
Il pezzo dei Led Zeppelin fu composto in omaggio a George Harrison; i due accordi di apertura sono presi in prestito da Something dell’ex beatle.
La canzone della pioggia inizia con due tracce di chitarra sovrapposte, la dodici corde elettrica e l’acustica a sei corde che chiudono insieme alla prima parte di canto. Un lungo assolo di mellotron tra le due parti cantate; una ripresa dell’inizio con la sola aggiunta del mellotron del basso e della batteria; una breve sezione più pesante e più veloce, grazie alla bravura del batterista di cambiare ritmo all’improvviso e all’aggiunta di una chitarra elettrica a sei corde.
La musica si pone in relazione con la matematica anche nel suo aspetto compositivo che richiede di ripartire i suoni tra le varie altezze, in diversi istanti temporali e tra le diverse voci degli strumenti che entrano nel corso dell’esecuzione, e al termine escono progressivamente fino a lasciare solo le due chitarre iniziali a chiudere la canzone.
Conosce a memoria questo brano, ma solo ora si sofferma sul significato della frase finale:
“Vedo la torcia che tutti noi dobbiamo reggere. E’ il mistero della spartizione. Su tutti noi dovrà cadere un po’ di pioggia”.
–Chissà cosa intendono queste parole. Una torcia che non si spegne con l’acqua cosa potrebbe essere?–.
Immediatamente ricorda i comandi di sua madre –spegni l’ombrello–, –accendi l’ombrello– per intendere proprio la sua apertura e chiusura. La torcia da reggere sotto la pioggia potrebbe essere quello.
Sua nonna diceva “Le api sagge di marzo dormono ancora” forse lui non è molto saggio però i proverbi della nonna li ricorda tutti.
“Chi nel marzo non pota la sua vigna, perde la vendemmia”. Bel proverbio, fa al suo caso. La vendemmia l’ha persa ma il suo capo non berrà il vino perché subirà una potatura definitiva, un taglio netto alle radici. Questa volta l’ingegnere sarà eliminato dalla faccia della terra.
Si abbandona alla melodia della canzone e si addormenta per un sonno tormentato da torce, pioggia, potature.
Le otto. Sulla porta di casa osserva il cielo, non piove più.
“Marzo è pazzerello esci col sole rientri con l’ombrello”, infila la mano nel guardaroba, afferra quello nero, chiuso dallo stringhino con bottone automatico.
Deve recarsi all’ufficio collocamento, una lunga passeggiata attraverso il parco; il grigiore invernale comincia a indossare i colori della primavera.
Cammina a passo spedito, il parapioggia ondeggia avanti e indietro facendo perno sul manico, una oscillazione che si allunga sempre più fino a diventare una rotazione a velocità crescente. D’improvviso la presa scivola e come una freccia è scagliato contro un albero. La punta di legno scalfisce la corteccia dell’ippocastano.
–La funzione principale di questo oggetto è quella di riparare dalla pioggia ma può avere altre funzioni. Potrebbe essere usato come arma–.
Ricorda che nel ’78 uno scrittore dissidente bulgaro fu assassinato con una dose di ricino iniettata tramite un ombrello modificato. La proteina contenuta nei semi di ricino è una potente citotossina naturale in grado di causare morte cellulare bloccando l’attività di sintesi proteica.
–Sì, ma la ricina dove la trovo. Troppo complesso. Però l’idea è buona. La torcia della canzone forse è questa, servirà a illuminare la mia strada e a spegnere quella del mio nemico–.
Dal finestrone della sala d’attesa del ufficio collocamento osserva la strada sottostante. Ha ripreso a piovere. E’ l’8 marzo, la festa delle donne. Sta sfilando il corteo della manifestazione; ha letto i cartelli – 44 gatte han perso il posto- una protesta organizzata da una quarantina di donne licenziate da una ditta che ha deciso di portare all’estero la produzione.
Sette file composte da sei ombrelli neri allineati e coperti, guidate da altri due dello stesso colore. Dalla sua posizione non vede le persone ma il puntale al centro di ogni cerchio nero.
Se la punta fosse metallica potrebbe diventare un’arma bianca…una baionetta.
Un flash lo riporta indietro negli anni, al tempo del servizio militare.
Adunata: raggiungere immediatamente l’area di raccolta e posizionarsi in formazione.
At…tenti: portare il piede sinistro rapidamente verso il piede destro; pancia in dentro, petto in fuori, mento in alto.
Al comando -Baionetta- la mano sinistra impugna la canna del fucile, la destra il lungo coltello custodito nel fodero affrancato al cinturone, lo innesta e riporta l’arma sul fianco.
La simultaneità e la precisione sono le caratteristiche essenziali dei movimenti e delle posizioni con le armi.
-Presentat’ arm- le braccia si muovono da sole, con scatto fulmineo il fucile è portato verticalmente davanti all’occhio destro che vede davanti a sé la tremante linea d’acciaio. La baionetta non è stata innestata correttamente, oscilla, i muscoli e i nervi sono contratti fino allo spasimo per mantenerla in bilico. L’urlo corale -Lo giuro- soffoca il tonfo del ferro caduto in terra. E’ una fortuna essere nelle ultime file. I compagni a fianco lo hanno notato, diventerà lo zimbello del battaglione, la troia della caserma.
Il ricordo sfuma col corteo delle donne; nella retina è impressa l’immagine del puntale-baionetta. Deve escogitare il sistema per innestare una lama al posto della punta dell’ombrello.
In garage armeggia tra i cassetti del bancone di lavoro per trovare la soluzione al suo problema.
Un innesto a baionetta si può realizzare con i giunti della canna di gomma per innaffiare il giardino. Sega il puntale lasciando un moncone sufficiente per saldare il raccordo nel quale innesterà il giunto della lancia per acqua dove monterà il ferro battuto sull’incudine, molato e successivamente affilato con la cote.
Ora gli rimane da studiare il piano d’azione: come, dove, quando.
Come. L’arma c’è. Si allena per il lancio sfruttando la forza centrifuga con un paio di giri attorno al polso e poi via a tutta forza contro una sagoma di cartone fissata ad un albero nel boschetto fuori città.
Dove e quando. L’ingegnere ogni mercoledì prima di andare in ufficio passa dal tabaccaio di fronte al passaggio pedonale per acquistare le mentine; quell’uomo ha un alito che tramortisce.
Bene lo aspetterà dietro il cassonetto dei rifiuti sul marciapiede di fronte al semaforo, dall’altra parte delle strisce pedonali. Dopo anni di frequentazione, conosce la sua vittima, i suoi segreti, le sue debolezze. L’ingegnere ha la mania di calpestare le zebre durante l’attraversamento, quindi per centrare i lunghi rettangoli bianchi si concentra e cammina a testa bassa; se si presentasse davanti a lui una donna completamente nuda non la vedrebbe affatto.
Un paio di giorni prima dell’agguato controlla la postazione; a quell’ora in quella zona non c’è un gran passaggio di persone, comunque si renderà irriconoscibile con sciarpa, occhiali e cappello. Non si sa mai.
La data fissata, mercoledì 14 salta perché è una giornata di sole, il cielo è pulito. Una settimana dopo il tempo è perfetto per il suo piano: se non piove, pioverà.
Le otto in punto, il suo uomo entra nel negozio puntualissimo.
Non c’è anima in giro. Il ragioniere sfila la baionetta dalla tasca e la innesta. Attende… ecco il bersaglio mobile, con lo sguardo a terra sulle strisce. Comincia a ruotare aumentando la velocità; lancia; la direzione è perfetta ma il manico è stato liberato leggermente in ritardo; invece di un lancio teso si profila una parabola ascendente che passa sulla testa dell’ingegnere e centra la lampada verde del semaforo. Nell’impatto l’ombrello si apre. L’illeso passa indifferente accanto all’illuso che a testa bassa mastica il terzo fallimento. Maledetti proverbi della nonna : “non c’è due senza tre” dopo gennaio e febbraio, anche marzo è andata a vuoto. Verde come l’erba, si da un voto: insufficiente. Non è la prima volta. Un secondo deja vu del tempo della naja lo riporta al poligono di tiro per il lancio della bomba a mano. Strappare la prima sicura con i denti, la seconda si sfila da sola in volo. Lanciare per colpire il bersaglio. Abbassare la testa protetta dall’elmetto per evitare eventuali schizzi di metallo incandescente. Anche in quella occasione fu un fiasco vergognoso, fallì di molto il bersaglio e per giunta non abbassò la testa classificandosi ultimo, con votazione: insufficiente criminale.
–Mi rifarò il mese prossimo “Se marzo butta erba, aprile butta merda”–.