secondo racconto con l’incipit n° 5 per il gioco di Morena Fanti
Torneremo a ballare
–Voglio entrare nella tua anima-
disse lui pensando che avrebbe voluto entrare in quell’anima calda e umida che lei aveva in mezzo alle gambe. Le mise una mano sulla schiena e la fece girare in un ballo languido in mezzo alla sala del circolo.
Il paese era tutto lì, la domenica pomeriggio.
Il paese rimase lì fino alla domenica sera e li guardò ballare, ballare e ballare senza mai staccarsi: un corpo solo, un’anima sola, cominciò a dire qualcuno.
Equilibrio perfetto nella vertigine del ballo.
Quando l’orologio del campanile scoccò i dieci rintocchi, i due svanirono nel nulla e ai cani da guardia attorno alla pista rimase solo un’immagine impressa nella retina.
Giulio e Mary lungo l’argine del fiume, sui fiori e l’erba del prato, trovarono il modo per soddisfare i loro sensi rubandosi la verginità.
Il bottino se lo spartirono in casa nove mesi dopo.
La serenità danzò con loro per lunghi anni tra le pareti della cucina, sul letto e nell’orto, incrociando occhi, braccia e gambe, trasformando l’irruenza dei primi tempi in esperienza e infine in paziente tenerezza, fino a quella sera, quando, scivolando su un gradino che portava al solaio, lei andò a sbattere la testa per terra.
Perdita d’equilibrio, vertigini, nausee, conati di vomito.
Se non interverranno complicazioni dopo l’aspirazione all’ematoma nel cervello, sua moglie tornerà a casa in gamba come prima disse il medico.
Il vecchio, accanto al letto della sala sterile dell’ospedale, vegliava il sonno della moglie ammirando come fosse bella, ancora più bella con il cranio completamente rasato. Pensò al primo ballo, al piacere di quella prima notte, ai loro corpi allacciati nel tango, agli incarnati nel letto, nell’erba, quante volte avevano fatto all’amore in tutti quegli anni.
Da quando era andato in pensione, ogni sabato sera d’estate andavano a ballare alla villa degli anziani.
L’invidia colorava di verde i vedovi e le vedove, i single, le “coppie scoppiate”; tutti li guardavano e non si davano pace vedendoli perennemente in luna di miele, a ballare stretti e abbracciati. Ma ciò che più irritava i compaesani era vederli sgattaiolare via, lei seduta sul canotto della bici, con una mano sul manubrio e l’altra abbarbicata come un ramo di glicine alle reni del marito.
Giulio, sempre magro e snello, suonava il campanello e con la sua mano grossa da metalmeccanico le lisciava i fianchi e le forme arrotondate dal tempo; affondava il naso nella permanente bionda e le baciava il collo, sapendo che era un preludio a ciò che avrebbero fatto a casa.
I capelli sono tutto per una donna, pensò Giulio. Mary ci teneva molto.
Era sicuro che, finché non fossero cresciuti, tutti l’avrebbero vista con un foulard di seta avvolto attorno alla testa.
La coperta marrone stesa sul corpo si sollevò e abbassò al ritmo del respiro.
Lui attese finché le palpebre stanche si aprirono come finestre per mostrare gli occhi azzurri di lei.
–… Sei qua … da tanto tempo? –
-Fra tre mesi saranno cinquant’anni che sono accanto a te e non mi stanco mai di guardarti. Quando torni a casa festeggeremo le nozze d’oro, una grande festa con figli e nipoti, non vedo l’ora.-
-Ho avuto molta paura prima dell’intervento, e ne ho ancora…-
-Sono passati appena due giorni-
-Ma non mi fanno ancora muovere… quel tremendo dolore alla testa… ho paura di non reggermi in piedi. Sarò ancora come prima? –
Le prese la mano da sotto la coperta, bagnandola di lacrime.
–Sono calde le tue mani. Io, invece, ho freddo. Ho solo il camicione dell’ospedale, sono quasi nuda… non te ne sei accorto?-
Come un serpente sotto la coperta, la mano di Giulio percorse il corpo di Mary attraverso la stoffa dell’ospedale, accarezzandola a memoria. Si fermò sul petto, disegnando con la punta del dito medio piccole spirali sull’areola.
Lei sorrise:
– Cosa fai, dai che poi non ti controlli e ci cacciano entrambi.
Ci pensi, duesettantenni sorpresi a far l’amore in un letto d’ospedale, finiremmo su tutti i giornali.
-Da quando non lo facciamo? Dall’incidente sulla scala, no prima… l’ultima sera di luglio. Pensavo che al mare ci saremmo lasciati andare, invece hai sempre dormito in camera con tua figlia e le bambine, ti ho aspettato inutilmente per quattordici sere, mai una visita, e di voglia con i bagni nell’acqua salata del mare me ne viene sempre tanta, sei stata cattiva-
–Tu, invece, in quindici giorni non hai aperto il borsellino per comperare un gelato alle tue nipotine, forse sei stato più cattivo tu! –
-L’avessi intuito, un gelato per una notte d’amore, ogni gelato un bacio assicurato, sono proprio uno stupido ma vedrai che quando torni a casa mi rifaccio e alle bambine comprerò giochi e dolci a non finire-
-Così ti prende un colpo e mi rimani lì secco. Dai, togli la mano da qua sotto, tra poco passerà l’infermiera. Quando sarò di nuovo a casa avremo tempo. Se qualcuno ci ascoltasse da fuori potrebbe pensare che qui ci sono due ragazzini in calore. –
-Beh, siamo cresciuti ma non è cambiato niente, no?-
-Torneremo a ballare?-