“Ciao navigatore degli spazi siderali, questo è il mio ulti-mo messaggio, sento di essere arrivata alla fine della cor-sa. Sono contenta, la vita è stata generosa con me. Ho fatto del mio meglio per far fruttificare i doni che ho ri-cevuto. Certamente con il senno dell’uomo adulto avrai compreso e perdonato il mio gesto di abbandono. È sta-to un sacrificio ma desideravo per te una vita normale, senza pentimenti e rimorsi. È stato meglio così. Hai ac-canto una donna straordinaria. Max è affascinato da Neli, all’ospedale hanno conversato a lungo, indiretta-mente ho ricevuto tante informazioni sulla vostra vita, sull’amore e sulla pace che regna nella vostra casa, que-sto mi ha rassicurato, la mia decisione è stata giusta. Il nostro bambino ora è un uomo, intelligente, maturo e capace ma ha bisogno di qualcuno che gli sia famiglia. Siete in tempo per recuperare gli anni che vi ho rubato. Te lo affido, prenditi cura di Lui.Con amore, per sempre. Renata».
La luce nella camera degli sposi si spegne.
Cinque scalini più in alto la luce è accesa nella mansar-da dal soffitto a perline color abete. Due piumini azzurri coprono i lettini negli angoli opposti, in mezzo alla stan-za nel terzo letto col piumino a quadrettoni rossi e blu, Max ha guardato le fotografie e i disegni alle pareti gial-le. Sui suoi occhi stanchi calano le palpebre, la serata è stata intensa, tutti hanno bevuto qualche bicchiere in più, bisognava fare festa, l’acqua delle lacrime si è tras-formata nel vino della gioia, augura la buonanotte ai fra-telli. Daniele gli dice a bassavoce:
«Mario è già crollato, tra qualche istante lo sentirai rus-sare, è abbastanza discreto ma prendi questi tappi per le orecchie, io li metto sempre; se vuoi spengo la luce. La domenica dormo fino a mezzogiorno, ma mi raccomando svegliaci prima di partire, ho memorizzato il numero del tuo cellulare, teniamoci in contatto ora, abbiamo tante cose da raccontarci. Buonanotte Max, cerca di dormire. Il papi sicuramente faticherà a prenderà il sonno, era troppo alle stelle stasera. È da quando Mario è andato via di casa che non lo vedevo così felice».
«Buonanotte Daniele, e buonanotte anche a te che dor-mi Mariolino».
Fossero state tre sorelle non avrebbero smesso di chiac-chierare per tutta la notte. Loro no, per ora sono soddis-fatti non hanno bisogno di spiegazioni e chiarimenti ul-teriori, ognuno ha i propri sogni da inseguire.
Il vento soffia sulle vele dei sogni. I dormienti sono gusci di noce erranti nell’oceano della memoria.
Daniele sogna. Adagiato sulla paglia in una cesta di vi-mini collocata tra una bambina vestita da Madonna e un bambino vestito da San Giuseppe lui è Gesù. Indossa una vestina bianca; una corona d’oro simile a quella dell’albero di Natale circonda i suoi lunghi riccioli biondi. Il tendone di velluto del sipario color porpora li separa dal brusio delle voci degli spettatori seduti sulle poltroncine nel salone del teatro parrocchiale in attesa dell’inizo del saggio della scuola materna. Ogni anno per quella parte le maestre scelgono il bambino più bello e secondo suo padre sarebbe stato molto difficile trovarne nel raggio di un milione di chilometri uno bello così, anche se è l’unico bambino a non volere stare in quella culla, lui non è fatto per mettersi in mostra, né ora né mai. All’apertura del sipario quando le luci impallidi-scono e parte la musica l’agitazione comincia a tambu-rellare nel suo piccolo petto. Nel buio della sala, tutti gli occhi sono puntati su di lui, i suoi invece cercano dispe-ratamente quelli della persona che lo potrebbe salvare dall’insopportabile posizione in cui si trova. Il telone è aperto, il piccolo Gesù fa leva con le manine sulle spon-de della cesta e si lancia con un balzo fuori dal palco nelle braccia del padre che scattando dalla poltrona in prima fila lo artiglia con la rapidità di un falco. I due si fanno piccoli piccoli e si siedono nella poltrona. Mentre un secondo Gesù con la vestina rossa ha già sostituito Daniele, il papi gli sussurra: «Stai tranquillo ora sei con me. Sarai sempre con me».
Mario sogna. È un piccolo seme e vorrebbe penetrare nel terreno fertile del bosco e diventare grande, rigoglio-so, forte come una quercia per dimostrare quanto vale e invece cade su una roccia. Il suo desiderio di diventare un albero maestoso svanisce, ma si rende conto di essere un meraviglioso cespuglio di rododendro che sfida i venti e le tempeste di neve in montagna. Soli quanto si vuole, uniti quanto si vuole, moltiplicati quanto si desi-dera, immerso nella passione del flire della vita.
Non diventerà un’autostrada, ma un sentiero angusto tra le cime, metterà tutta la passione per realizzare nella vita il disegno per cui è chiamato a diventare: “Il meglio di ciò che sei, sempre”ciò che la sera del 28 maggio di due anni prima, mentre stava lasciando la casa dei genitori, il padre gli aveva augurato.
Neli sogna. È nel letto dell’ospedale, sta aspettando la vi-sita di una persona non è mai venuta a trovarla, È lunga l’attesa quando vorresti avere accanto qualcuno che ti rassicurari tenendoti la mano stretta nella sua.
Una grande energia invade il suo corpo, si sente di nuo-vo forte, è guarita, si alza dal letto, esce dalla sua stanza e comincia a correre, sempre più forte, ha paura di arriva-re troppo tardi. In fondo al corridoio c’è una grande lu-ceabbagliante, non distingue l’immagine ma sente la vo-ce: “Non affannarti Neli la tua generosità non è mai in ri-tardo. Siediti accanto al mio letto, riposa un po’ qui con me. Sul comodino c’è un’arancia, tagliala a metà per fa-vore, ne berremo il succo insieme, così sarò presente quando ti prenderai cura di mio figlio, perchè so che lo farai. Neli, io te la affido, me ne vado serena perchè so che è in buone mani, tu sei ricca d’amore e lo dispense-rai a piene mani anche a lui”.
La luce svanisce, in bocca rimane un dissetante sapore.
Max non stringe tra le braccia l’orsacchiotto, non ha fat-to il conto alla rovescia stanotte, la navicella spaziale è ritornata sulla terra ormai. Sogna.Tre giraffine galoppa-no inseguendo la grande giraffa, corrono, corrono, cor-rono, finchè arrivano in un prato verde. Una donna ve-stita di bianco le sta aspettando con una palla in mano, la lancia in alto, poco distanti due bambini guardano verso il cielo dove un grande angelo afferra la sfera colo-rata e la consegna nella mani di un terzo bambino che lo sta aspettando tra le braccia della sua mamma in fondo alla radura.
Una ninna nanna malinconica culla e abbracciabil sogno di Stefano:è la canzone Dream letter di Tim Buckley. La sonorità morbida delle velocissime note di una chitarra a dodici corde, la tenera atmosfera del vibrafono, la com-movente preghiera dell’archetto che scivola sulle corde del violoncello, comunicano la desolazione di un pensie-ro vissuto in disparte, di un sogno altrui.
Un angelo parla al vento e spande tanta luce, quanta più non potrebbe riversare sulle pupille volte verso il cielo:
– Signora il tempo vola via, stavo pensando al mio passato.
Oh, per favore ascolta cara le mie vuote preghiere.
Dormi dentro ai miei sogni stanotte
Tutto ciò di cui ho bisogno è sapere di te e del mio bambino.
Oh, dimmi, è un soldato o un sognatore?
È il piccolo uomo di mamma?
Ti aiuta quando può?Ti chiede di me?
Proprio come un giovane soldato, sono stato fuori a combattere guerre che il mondo mai ha conosciuto, ma non le ho mai vinte a voce alta, non ci sono folle intorno a me.
Ma quando vado a pensare ai vecchi tempi, quando l’amore stava di casa con noi, mi chiedo perchè non abbiamo mai provato.
Oh Quanto avrei voluto occuparmi di lui.”
La musica è interrotta da voci conosciute, le stesse che hanno dipinto d’argento la sua vita chiamano i figli per nome.
Neli chiama Mario e Daniele.
Renata chiama Max.
Contrariamente alle previsioni di Daniele, Stefano si è addormentato come un masso, quattro ore dirette, una buona dormita per lui. Alle quattro è sveglio, è l’abitudi-ne, il suo corpo ha preso il ritmo dell’orario di fare il pa-ne. La domenica è il giorno di riposo, scosta le coperte, lascia a letto e a piedi nudi per non svegliare la moglie percorre come un ladro il breve tragitto che porta alla cameretta dei ragazzi.
Il silenzio è invaso dal respiro pesante di Mario; da bambino aveva battuto il naso cadendo dal lettino. Il ba-gliore della luce riflessa nei vetri dell’ingresso gli per-mette di vedere in faccia i suoi tre maschi. “Uno più bel-lo dell’altro, così belli e così diversi, se fossi una donna non saprei chi scegliere, ce n’è per tutti i gusti”. Orgoglio di padre. Scappa via in fretta, non vuole sve-gliarli, torna in camera e si infila di soppiatto a letto. Una voce impastata gli ordina:«Dormi, non scappano i tuoi figli» .