Dicembre 1972

A metà del mese di dicembre Stefano è di nuovo in città per l’ultimo degli incontri con l’arte bresciana.

Fina dalle elementari coltiva la passione per il disegno e la pittura e nel tempo libero realizza i suoi lavori. Prepa-ra da solo i colori con terre rosse e ocra raccolte sui monti circostanti, le setaccia, le mescola con acqua e col-la, poi versa l’intruglio sulla tela e con abilità e velocità la inclina in alto e in basso e destra e sinistra, raccoglie in una tazza il colore liquido in esubero e poi lo versa di nuovo sulla tela finchè appare l’idea della sua ispirazio-ne, e conclude infilando la tela nel forno del pane, ope-razione questa da effettuare nel pomeriggio quando so-no tutti a dormire, altrimenti non glielo permetterebbe-ro, anche se non sporca per niente la platea refrattaria. Dopo una decina di minuti sforna l’opera asciutta e tesa, la lascia raffreddare e con un pennellino rifinisce a tem-pera il quadro.

Alla mostra di ottobre dopo una chiacchierata col mae-stro d’arte Enrico Ragni aveva fissato un appuntamento per mostrargli uno di questi lavori.

Poco lontano dallo studio di Fiessi e di Renata, incontra il pittore nell’atelier-magazzino.

Con la tela avvolta in un foglio di carta da pacchi entra nello stanzone dove numerose tele sono sistemate allineate e coperte come una fila di soldati. Nella parete sul fondo è appesa una grande tela, in cui il colore rosso imprigiona una macchia nera sanguinante, l’impressione ricorda la Spagna, un dramma intenso pregno di vibrazioni, un impulso di violenza e di passione. Un cavallo incornato dal toro trafitto dalla muleta del matador.

«Quello che stai osservando l’ha realizzato mia moglie Pierca. Ma ora voglio vedere cosa mi hai portato. Dai scarta il tuo pacco, mostrami la tua opera».

La tela è avvolta in un foglio di carta da pacchi, Stefano la libera dall’involucro e la presenta al maestro dicendo: «È un albero». – «Interessante. Non è importante dire cosa rappresenta. L’opera d’arte ha autentici ordini di qualità e se i mezzi usati per realizzarla non sono banali avrà una vitalità al di fuori del soggetto più o meno rappresentato. Il vero significato di un’opera d’arte è una sintesi di espressioni riguardanti la composizione formale, il ritmo spaziale in una coerenza poetica con gli elementi colore e forma, plasmati mentalmente sui valori dello spirito. Come hai realizzato questo impasto di colore? Hai usato terre spe-ciali? Come le hai impastate e fissate sulla tela? Non vuoi dirlo? Hai ragione. È la tua tecnica di pittura. Mi piace». «È un albero di pietra, un albero che non vuole fiorire, niente più foglie né fiori tra i suoi rami, non ha più voglia di vivere».

«Ha qualcosa a vedere con te questo albero? Stai forse passando un brutto momento. Fatti coraggio, ogni uomo sulla faccia della terra attraversa giorni di sconforto, gior ni di tristezza, di noia, ma poi arriva sempre il sole e porta giorni di gioia che ti fanno dimenticare tutti gli altri. Io guardo il tuo quadro, questa piccola massa di colore aspetta l’energia necessaria per esplodere, per espandere un’enorme quantità di vita. Spetta solo a te liberarla».

«Vorrei chiederle un’informazione, conosce un’artista di nome Renata che lavorava in questa via?».

«Ogni tanto incontravo una signora con fogli arrotolati sottobraccio, una borsa a tracolla dalla quale sbucavano ciuffi di pennelli e ho immaginato che fosse un’artista. Non la conosco personalmente, non so chi sia, ne come si chiami, io non lavoro qui, questo è il mio deposito, ci vengo di rado. L’ultima volta l’ho vista a marzo o aprile, stava chiudendo il portone, aveva sottobraccio un rotolo di fogli, non so dire di più. La conosci?». Stefano rimane in silenzio, era l’ultima speranza, è sconfortato.

L’artista gli da un piccolo scappellotto tra capo e collo e gli dice: «Continua a colorare, sperimenta le tue tecniche e mostramele ogni tanto, mi hai fatto una buona impres-sione, secondo me hai la stoffa dell’artista, vai avanti e su con la vita».

Stefano ringrazia e scappa via, è commosso e non vuole mostrare gli occhi lucidi “È un grande questo uomo, ma neanche lui mi può aiutare”.

Cammina veloce per le vie della città illuminata a festa, tra qualche giorno sarà Natale, dalla porta di una chiesa si eleva nell’aria una musica, entra, si siede nell’oscurità della navata e ascolta le prove di un coro di voci che intona un canto; su uno spartito legge il titolo: In dulci jubilo, musica di Buxtehude.

In dolce giubilo leviamo un lieto cantico

pien di gioia è il cuore

Egli splende come il sole

nelle braccia della Madre

Egli è l’alfa e l’omega.

Lontani dalla luce a noi sono riservate

le gioie del cielo.

Oh, quale carità!

Dove sono le gioie?

Ecco innalzano gli angeli, nel cielo,

nuovi canti.

Squillano le trombe nel regno dei cieli.

Oh, quale carità, quale carità.

Conosce Renata…..

Due colpi secchi del catenaccio, è il suono della porta della solitudine che si apre e presenta un uomo mal-vestito, vecchio all’apparenza, mostra sul viso i segni del-la sofferenza, è impossibile dargli un’età.

«Entra ragazzo, accomodati, dal tono della tua voce rie-sco a sentire il suono della passione; chi ha passato certi momenti lo capisce al volo». Si siedono al tavolo. Sulla tovaglia di tela cerata, c’è un fiasco, una pagnotta stantia, una mela, Fiessi lo fa sedere, versa il vino nei due bic-chieri e lo invita a condividere con lui il piacere di una bevuta. .

Il giovane scrolla la testa e dice: «Grazie, sono astemio». «Su coraggio, fammi compagnia, raccontami le tue pene ed io ti racconterò le mie, versiamo un po’ di aceto sulle nostre ferite. Conosco di vista la tua amica, mi pare una persona per bene, mi saluta sempre quando mi incontra. Facciamo lo stesso lavoro lo avevo intuito ma non ci sia-mo mai parlati nè frequentati, non la vedo da mesi, lo studio deve essere chiuso, non c’è più luce alle finestre e la tenda è sempre tesa. È lei il motivo della tua sofferen-za?Ha forse una figlia e non te la lascia frequentare?Per-ché la stai cercando?. Sei innamorato di lei. Ho colpito il bersaglio in pieno centro, si vede stai sanguinando. Scu-sa non volevo essere invadente. Lei è molto più grande di te. Dimmi qualcosa. Sei venuto apposta per chiedere informazioni e ora non parli. Sembri un cane bastonato. Sei come me, non sai dove sbattere la testa, non sai a chi rivolgerti, vorresti urlare al vento di spazzare via la tua pena e invece ti costringi a soffocarla dentro. Caro ragazzo confida la tua pena, perchè il dolore muto se arriva al cuore lo spezza. Lo sfogo spesso è lunica medicina alla sofferenza».

Stefano sentendo di aver incontrato un uomo che lo vuole ascoltare con sincerità, mostra le proprie ferite nascoste distillando in poche frasi la sofferenza che gli avvelena l’anima. Sentirsi ascoltato e forse compreso è un sollievo alla sua desolazione.

«Mi fa male non poter esserti di aiuto, non dormirò pensando a te, ti auguro di trovare qualcuno che ti dia una mano a trovare questa persona o a perderla. Qualcuno troverà il codice segreto per sciogliere il tuo dolore, e lasciare il posto ad un altro amore, forse diverso, meno intenso, certamente più maturo e consapevole. Hai gli occhi di chi cammina con l’aria sotto i piedi, noi siamo così, tutti cercano di trattenerci a terra, ma le aquile sono esseri del cielo, creati per volare, e tu vola e sogna. continua a sognare ad occhi aperti, non si fa male a nessuno, lo sai vero. Non ti conosco eppure è come se sapessi tutto di te, siamo anime simili. Il mio consiglio per uscire dallo stagno in cui stai affogando è di attaccarti a ciò che più ti piace e metterci dentro tutte le tue energie. Avrai una passione…».

«Amo la musica di questi anni, ascolto dischi di pop, rock, blues».

«Finalmente, hai riacquistato la parola, toh, prendi que-ste tremila lire, vai ad acquistare un disco e corri a casa ad ascoltarlo. Se vuoi pensa a me, pensa che al mondo c’è sempre qualcuno più disperato di te e nonostante tutto va avanti nella nebbia, aspettando un raggio di sole, uno spiraglio di luce. Quando ti trovi nel buio, non temere, guarda in alto, lontano, un lumicino ti indicherà la strada per uscirne fuori. Ti vorrei sapere felice, sei giovane hai davanti l’avvenire».

La stretta di mano sulla porta sigilla l’amicizia con Fiessi Angelo, un uomo fuori dal tempo, un angelo caduto sulla terra, una delicata pennellata sulla tela della vita.

In una stradina dietro i grandi magazzini Coin c’è un negozio di dischi, Stefano entra e comincia a scartabel-lare tra le copertine colorate, le sue dita si muovono ve-loci, ogni tanto si fermano, afferrano un disco, l’occhio cattura le immagini, legge le parole, i titoli, i nomi dei musicisti, la mente comincia a inventare da sola suoni, armonie, melodie; sono intuizioni per scegliere la musica giusta per quel preciso momento. Ha tra le mani un LP di Tim Buckley, non ha mai ascoltato niente di lui, ha letto alcune recensioni che lo hanno incuriosito e appas-sionato, fino a quel momento è stato impossibile trovare le sue produzioni in Italia. Si accomoda in cabina per l’ascolto. La dodici corde impreziosisce una voce stu-penda, modulata al massimo delle possibilità espressive che sale e scende di tono in un batter di ciglia creando una emoziona profonda, disegnando la melodia dei bra-ni arriva diretta dall’anima dell’artista una forza emotiva, coinvolgente, paurosamente affine all’anima del ragazzo. Blue afternoon. Pomeriggio blù. Un lavoro dai toni sof-fusi, triste e poetico. Pomeriggio triste, è l’atmosfera di quel giorno di novembre, ogni canzone è una sfaccetta-tura della giornata. La musica ripropone nell’umidità della nebbia, lo stato di abbandono, il vuoto della strada che porta allo studio, il treno, l’assenza di Renata.

Ottobre 1972

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Autunno 1972

Il cugino Gianni ha coinvolto gli amici per organizzare in paese una mostra d’arte di Pittori Bresciani Contem-poranei: Pedrali, Ragni, Pierca, Ghelfi, Bergomi, Garosio, Gatti, Repossi e Fiessi. Un giornalista ha fornito nomi e contatti per ottenere le opere, è una bella impresa, sono tutti entusiasti. A fine ottobre la manifestazione artistica chiude i battenti; a Stefano tocca il compito di riconse-gnare i quadri o i soldi delle vendite agli artisti residenti in città. Il primo pittore a cui fa visita opera in via Musei.

Nell’androne di un antico e austero palazzo risuona un «Chi è là»,la voce di Bergomi, tornato da poco dall’Equa-dor pare arrivare direttamente dal medioevo. L’artista da l’impressione di essere scocciato dal disturbatore ma quando vede i soldi cambia timbro di voce e con garbo lo fa accomodare nello studio.

Una grossa stufa a carbone riscalda la stanza, l’odore intenso di acquaragia è mitigato da quello dei colori a olio sparsi in varie combinazioni di tinta su una grande tavolozza. Osservando i quadri e le piccole tavole di le-gno si nota il talento dell’artista, la sua pittura è densa di toni, i personaggi sono rappresentati con una particolare intensità di espressione che narra con maestria l’ango-scia, la serenità e la gioia.

Chiacchierano un po’, Stefano approfitta per chiedere se conosce Renata. Il pittore risponde scrollando la testa, non è nel suo giro di conoscenze, anche perchè spesso è in giro per il mondo, il mese a venire partirà per il Vene-zuela, sembra scocciato dalla domanda.

Il ragazzo lascia perdere, non gli piace quest’uomo, con educazione risponde al freddo “Arrivederci” e girando i tacchi lascia lo studio mormorando “A mai più”.

A metà novembre è il turno di Fiessi Angelo. Il pittore appartiene al gruppo della scapigliatura bresciana, non è mai stato un buon mercante dei suoi paesaggi dai toni delicati, un po’ impressionisti. Stefano legge il nome della via, la conosce, da quelle parti c’è lo studio di Re-nata, percorre il tragitto con i passi della nostalgia e il cuore a ritmo accelerato che pulsa in gola e negli orecchi. Bussa alla portina della stamberga, nessuno risponde, c’è una luce accesa all’interno, alla sua insistenza con le nocche sull’uscio, risponde una voce: «Andate via, ladri maledetti. Mi avete portato via tutto». «Mi apra per favore, sono venuto a portare i soldi del quadro, non ricorda la mostra in Franciacorta, le passo la busta sotto la porta, ecco qua».

Dall’interno un colpo di tosse schiarisce la voce:«Grazie. Mi deve scusare ma me ne sono capitate di tutti i colori, non mi fido più di nessuno, non faccio entrare più nessuno. Grazie ancora, la saluto».

La voce di Stefano assume un tono di supplica:

«Ancora una parola, la prego, devo chiederle una infor-mazione, conosce Renata, la pittrice, la restauratrice, abita nello studio più avanti nella via –.