A metà del mese di dicembre Stefano è di nuovo in città per l’ultimo degli incontri con l’arte bresciana.
Fina dalle elementari coltiva la passione per il disegno e la pittura e nel tempo libero realizza i suoi lavori. Prepa-ra da solo i colori con terre rosse e ocra raccolte sui monti circostanti, le setaccia, le mescola con acqua e col-la, poi versa l’intruglio sulla tela e con abilità e velocità la inclina in alto e in basso e destra e sinistra, raccoglie in una tazza il colore liquido in esubero e poi lo versa di nuovo sulla tela finchè appare l’idea della sua ispirazio-ne, e conclude infilando la tela nel forno del pane, ope-razione questa da effettuare nel pomeriggio quando so-no tutti a dormire, altrimenti non glielo permetterebbe-ro, anche se non sporca per niente la platea refrattaria. Dopo una decina di minuti sforna l’opera asciutta e tesa, la lascia raffreddare e con un pennellino rifinisce a tem-pera il quadro.
Alla mostra di ottobre dopo una chiacchierata col mae-stro d’arte Enrico Ragni aveva fissato un appuntamento per mostrargli uno di questi lavori.
Poco lontano dallo studio di Fiessi e di Renata, incontra il pittore nell’atelier-magazzino.
Con la tela avvolta in un foglio di carta da pacchi entra nello stanzone dove numerose tele sono sistemate allineate e coperte come una fila di soldati. Nella parete sul fondo è appesa una grande tela, in cui il colore rosso imprigiona una macchia nera sanguinante, l’impressione ricorda la Spagna, un dramma intenso pregno di vibrazioni, un impulso di violenza e di passione. Un cavallo incornato dal toro trafitto dalla muleta del matador.
«Quello che stai osservando l’ha realizzato mia moglie Pierca. Ma ora voglio vedere cosa mi hai portato. Dai scarta il tuo pacco, mostrami la tua opera».
La tela è avvolta in un foglio di carta da pacchi, Stefano la libera dall’involucro e la presenta al maestro dicendo: «È un albero». – «Interessante. Non è importante dire cosa rappresenta. L’opera d’arte ha autentici ordini di qualità e se i mezzi usati per realizzarla non sono banali avrà una vitalità al di fuori del soggetto più o meno rappresentato. Il vero significato di un’opera d’arte è una sintesi di espressioni riguardanti la composizione formale, il ritmo spaziale in una coerenza poetica con gli elementi colore e forma, plasmati mentalmente sui valori dello spirito. Come hai realizzato questo impasto di colore? Hai usato terre spe-ciali? Come le hai impastate e fissate sulla tela? Non vuoi dirlo? Hai ragione. È la tua tecnica di pittura. Mi piace». «È un albero di pietra, un albero che non vuole fiorire, niente più foglie né fiori tra i suoi rami, non ha più voglia di vivere».
«Ha qualcosa a vedere con te questo albero? Stai forse passando un brutto momento. Fatti coraggio, ogni uomo sulla faccia della terra attraversa giorni di sconforto, gior ni di tristezza, di noia, ma poi arriva sempre il sole e porta giorni di gioia che ti fanno dimenticare tutti gli altri. Io guardo il tuo quadro, questa piccola massa di colore aspetta l’energia necessaria per esplodere, per espandere un’enorme quantità di vita. Spetta solo a te liberarla».
«Vorrei chiederle un’informazione, conosce un’artista di nome Renata che lavorava in questa via?».
«Ogni tanto incontravo una signora con fogli arrotolati sottobraccio, una borsa a tracolla dalla quale sbucavano ciuffi di pennelli e ho immaginato che fosse un’artista. Non la conosco personalmente, non so chi sia, ne come si chiami, io non lavoro qui, questo è il mio deposito, ci vengo di rado. L’ultima volta l’ho vista a marzo o aprile, stava chiudendo il portone, aveva sottobraccio un rotolo di fogli, non so dire di più. La conosci?». Stefano rimane in silenzio, era l’ultima speranza, è sconfortato.
L’artista gli da un piccolo scappellotto tra capo e collo e gli dice: «Continua a colorare, sperimenta le tue tecniche e mostramele ogni tanto, mi hai fatto una buona impres-sione, secondo me hai la stoffa dell’artista, vai avanti e su con la vita».
Stefano ringrazia e scappa via, è commosso e non vuole mostrare gli occhi lucidi “È un grande questo uomo, ma neanche lui mi può aiutare”.
Cammina veloce per le vie della città illuminata a festa, tra qualche giorno sarà Natale, dalla porta di una chiesa si eleva nell’aria una musica, entra, si siede nell’oscurità della navata e ascolta le prove di un coro di voci che intona un canto; su uno spartito legge il titolo: In dulci jubilo, musica di Buxtehude.
In dolce giubilo leviamo un lieto cantico
pien di gioia è il cuore
Egli splende come il sole
nelle braccia della Madre
Egli è l’alfa e l’omega.
Lontani dalla luce a noi sono riservate
le gioie del cielo.
Oh, quale carità!
Dove sono le gioie?
Ecco innalzano gli angeli, nel cielo,
nuovi canti.
Squillano le trombe nel regno dei cieli.
Oh, quale carità, quale carità.