Il primo giovedì di dicembre 1971

Al di sopra di un muro di cinta spunta un ramo ricoper-to da una miriade di minuscoli fiori gialli dal cuore tra-slucido somiglianti a piccole gelatine incollate sui lunghi fusti degli arbusti invernali. I rami fioriti del calicanto annunciano l’inverno inebriando i terrazzi e i giardini con il loro profumo sensuale mentre la natura riposa. Stefano si guarda intorno per scoprire da dove arrivi l’essenza che gli ha catturato i sensi. Si arrampica sul muro e strappa con cura qualche rametto perché sa che i fiori sono delicati e si potrebbero staccare. Fiero del suo bouquet varca la soglia dello studio e si annuncia: «Sono arrivato. Lascio il cappotto accanto alla stufa e vengo su». Sale le scale di corsa, porge con garbo l’o-maggio floreale a Renata che accogliendolo con gratitu-dine risponde: « Grazie. Che buon profumo!. Prendi uno di quei vasetti e riempilo d’acqua, adoro questi fiori». Stefano sistema il vasetto sul davanzale della finestra e si rivolge a Renata: « Sei già al lavoro sulla tela?». «Ma no. Vieni e guarda, questo è un quadro antico. Non ho saputo dire di no alla richiesta della mia amica l’altra sera, lei è titolare di una bottega di antiquariato e mi ha pregato di sistemare questa tela, non è un granchè come opera ma ha un grande valore affettivo per il proprieta-rio, quindi devo eseguire un lavoro di pulizia e poi qual-che ritocco coi pennelli, poca roba, ma mi terrà occupata parecchie ore. Quando studiavo all’accademia di Brera ho frequentato un laboratorio di restauro. Sono piutto-sto in gamba in questo lavoro, lo dico con una punta di orgoglio. Per questa mia amica ho fatto diversi lavori an-che all’aperto, nella bella stagione ho restaurato diversi affreschi nelle santelle, ai bordi e crocicchi delle strade. Mi ricompensa molto bene, purtroppo ha sempre fretta, vuole per ieri quel che gli serve oggi. È una trafficona, si occupa un po’ di tutto, conosce persone importanti nel campo dell’arte. Riesce sempre a coinvolgermi, non rie-sco quasi mai a dirle di no. Oggi Icaro sta a riposo». «Mi piacerebbe restare qui lo stesso, non ti disturbo, mi siedo sul divano e leggo un libro in silenzio. Posso?». «Certo, non mi disturbi affatto, mi piace la tua compa-gnia, resta qui, ti faccio fare un lavoretto. Giù nella borsa sul tavolo c’è una teiera, buste di thè, limoni, zucchero, biscotti. Metti l’acqua nel bollitore sulla stufa e …». «Capito. Lo so fare il thè, ci penso io, preparo una bella merenda».Bim bum, bim bam. Sensibile ma casinista come tutti i maschi della sua età, alla velocità del suono il thè è pronto. Due bei cucchiai di zucchero, una spre-muta di limone, le tazze colme fino all’orlo, i biscotti sparsi sul vassoio. Sistema tre sedie accanto alla stufa, due per loro, sulla terza colloca il vassoio imbandito e orgoglioso del suo lavoro chiama ad alta voce: «Se la gentile signora si vuole accomodare al piano inferiore. Il thè è pronto».Renata che dal soppalco senza farsi notare ha assistito alla preparazione fin dall’inizio, ridendo risponde: «Eccomi. Arrivo subito ».Continuando a ridere scende, si siede, infila con dolcezza una mano nei capelli dai riflessi di rame del ragazzo e gli suggerisce alcuni consigli sul galateo: «Quando prepari il thè per qualcuno, devi chiedere come lo gusta: quanto zucchero, limone o latte; lascialo nella teiera fino al momento di servirlo, oppure lascia che l’ospite si serva da solo. I bi-scotti disponili sempre su un piattino. La semplicità dei tuoi gesti è una cartina al tornasole che rivela genuinità e bontà d’animo. Basta poco per far capire a una persona quanto ti sta a cuore. Un ammiccare degli occhi, un toc-co della mano o una parola sussurata, basta un piccolo gesto per dire tutto. Sì, anche preparare una tazza di tè, riempire una zuccheriera può trasformarsi in una poesia d’amore- porta alle labbra la tazzina e sorseggia-Buono, limone e zucchero come piace a me. Bravo. È importante la sostanza delle cose, però tieni presente sempre di aver cura anche della forma». Stefano felice replica: «A casa ho sempre fatto così, però hai ragione, non devo pensare sempre e solo a me stesso, sulla faccia della terra c’è qualcun altro oltre me. Tu per esempio, mi sa che se mi giro esisti lo stesso». «Sì, stai sicuro ci sono, ma parlami di te, se non sbaglio oggi era la tua prima lezione di nuo-to».

«Sì. E ho già fatto progressi. Nella parte più bassa della vasca col gruppo degli affogatori -titolo affibiato dall’is-truttore ai ragazzi che non sanno stare a galla- ho vinto la paura di infilare la testa sott’acqua. Ho provato ad a-prire gli occhi, ho visto il fondo, l’ho toccato, ho sentito la spinta dell’acqua che mi riportava in superficie. In quel momento mi sono ricordato del principi di Archi-mede –Un corpo immerso in un liquido riceve una spin-ta dal basso verso l’alto pari al peso del volume di liqui-do spostato– con coraggio ho teso le braccia, mi sono allungato e battendo le gambe a tutta velocità ho rag-giunto in apnea il bordo della vasca e nel riemergere ho urlato di gioia».

Un giorno qualsiasi a metà dicembre

Renata è occupata con altri lavori di restauro per l’amica ma insiste perché il ragazzo ritorni a farle compagnia. Ogni giorno aspetta impaziente l’arrivo del suo Icaro che intrattenendola con discorsi su scuola, musica, ami-ci, passeggiate solitarie, malinconie, sogni ad occhi aper-ti traccia come il delicato pennino sul cardiogramma gli impulsi del proprio cuore trasmettendo i minimi movi-menti della sua anima sensibile. Il tempo corre, lui parla parla, lei lavora e ascolta, qualche volta lo interrompe con domande, si sente partecipe delle sue avventure e vuole conoscerne ogni dettaglio. Stefano risponde a tut-to, non avendo ancora mostrato il suo corpo mette a nu- do il suo spirito senza alcuna vergogna. Non ha mai avu-to un’avventura con una ragazza, mai un bacio o una ca-rezza, si infastidisce quando al cinema vede gli amici mettere le mani sotto la la camicetta o la gonna alle ra-gazze. Per lui l’amore è quello romantico dei film, sogna i baci di Ingrid Bergman, Greta Garbo, Catherine Hep-burn. L’amore non si è ancora incarnato in lui, è un sen-timento etereo che non brucia come il sole d’agosto, piuttosto è un tepore che scalda le lucertole sui muri nei primi giorni di primavera.

È stato sincero, svelando i propri limiti con la cautela, la lealtà, la finezza, il garbo necessario ha fatto emergere in lei il desiderio e il bisogno di infrangere il blocco che le comprime il cuore.

«L’amore è sacrificio» si lascia sfuggire Renata.

«Cosa vuoi dire. Questa parola comunica sofferenza, do-lore e tristezza ».

Renata si è gia pentita delle sue parole, non vorrebbe ri-portare sulla terra la giovane aquila, ma qualcosa la spin-ge a continuare: «Per conoscere l’amore devi farne pri-ma esperienza, non devi illuderti, l’amore vero non è quello dello schermo, è quello che si vive giorno per giorno nelle gioie e nelle difficoltà, nel vento, nel sole, nella bufera, nella monotonia…

«Tu sei innamorata? Lo sei stata? Lo sei ancora?».

Una nebbia di silenzio cala nello studio, attutisce i ru-mori, i colori, la luce; la distanza aumenta, tutto appare più lontano, irraggiungibile, sconosciuto, misterioso, pe-ricoloso.

Non conosce niente di lei, non sa se vive sola o con qualcuno, non gli ha mai parlato della sua vita privata.

È sposata? Non ha mai pensato a un uomo accanto a Re-nata, per lui esiste solo l’artista, l’amica dello studio, una piacevole compagna con la quale passare divertenti po-meriggi in città, parlare d’arte, di musica, non ha mai pensato alla loro differenza di età, anche se si è reso conto della sua maturità e della ricchezza d’esperienza.

«Scusami, non ho alcun diritto di farti domande perso-nali, io parlo parlo e poi rischio di dire cose che provo-cano e possono fare male agli altri, spesso esigo che gli altri buttino fuori tutto come faccio io. Cambiamo argo-mento se vuoi».

«No. Non sei stato invadente, hai solo reagito ad una mia considerazione sull’amore. Non ti ho mai raccontato di me solo perché quando siamo insieme riesco a non pen-sare alla mia vita privata. Sono sposata, non sono felice.

Il mio matrimonio è stato una fuga. La fuga da una fami-glia, da un padre severo che non riuscivo più a com-prendere, a sopportare, non riuscivamo più a comunica-re. È la storia di tanti. Quando si è presentata la prima occasione, ho preso al volo il tram che avrebbe dovuto portarmi fuori dalla vita desolata, invece sono precipitata nel buio. La mia vita è una interminabile caduta nel vuo-to, mi manca l’aria, non doveva mancarmi niente ed in-vece mi manca tutto, ho una continua sensazione di inu-tilità. L’indifferenza ha ridotto il mio matrimonio a una semplice convivenza sotto lo stesso tetto, con un minimo scambio di cenni o frasi di circostanza. Il dialogo è spen-to da tempo, non ci sono mai stati fremiti di tenerezza, la noia ha tessuto la sua tela avvolgendo la realtà quoti-diana di un velo grigio di distacco e apatia».

Oltre la finestra dicembre ha già velato di nero il cielo di Brescia. Renata Lascia cadere il pennello; non c’è un raggio di luce nella sua vita, si abbandona a un delirio straziante: «Qualcuno mi dica esattamente dove sono, ho perso il senso della direzione, il buio si chiude intorno a me, il freddo attraversa tutto il mio corpo. Grido nella speranza che qualcuno ascolti questa mia disperata voce solitaria. Tutte le promesse sono state infrante, tutte le buone intenzioni non hanno raggiunto un fine. Mi rendo conto quanto è accaduto, quanti momenti sprecati, quante cose volevo fare nella vita. Ora è troppo tardi per realizzare qualcosa di importante per me. La cosa a cui più tenevo mi è stata negata. È tutto diverso quando ti fermi a pensare e ti senti prigioniera delle tenebre. C’è qualcuno che mi ascolta?».Un calore le avvolge le gambe, abbassa la testa, davanti a lei c’è tutto il sogno della sua vita, un figlio. Stefano è li, avvinghiato alle sue gambe con la testa appoggiata sulle sue ginocchia. La sua voce spezzata dalla commozione supplica: «Basta adesso, ho ascoltato il tuo canto disperato, ci sono io qui, starò con te finchè lo vorrai, non ti lascerò mai sola».

Renata gli accarezza i capelli e lo bacia sulla testa, si è la-sciata andare, lo ha spaventato, in pochi attimi ha scari-cato su di lui il peso sopportato in tanti anni. In ogni is-tante, in un qualsiasi posto sulla terra qualcuno urla for-te il suo dolore per farsi sentire e c’è sempre qualcuno che sta in ascolto e viene in soccorso. Due lacrime traci-mando dai suoi occhi scivolano sul collo del ragazzo. Egli volgendo la testa verso l’alto si alza in piedi di fron-te al lei, con le labbra socchiuse le sfiora le sopracciglia con un movimento oscillante e delicato come soffiasse nelle canne di uno zufolo, e baciando le palpebre chiuse e umide asciuga le sue lacrime.

Consolare è stare con uno che è solo. La tristezza o il do-lore nascono dal sentirsi soli e abbandonati, privi di una presenza che ti riscaldi, di una mano che ti accarezzi, di una parola che infranga il silenzio. Le mani di chi ti vuo-le bene sono ali di angeli mandati dal cielo per sollevarti dalla solitudine. Renata porta le braccia attorno ai fian-chi del ragazzo e lo stringe a sè come una madre. Nella cupa esistenza della donna si apre uno squarcio di luce, un’oasi di quiete nel deserto dell’infelicità.

Toc,toc, toc, un piccione picchia ai vetri della finestra e infrange il silenzio sulla città interrompendo il momento di grande emozione.

«Si è fatto tardi, beviamo un tè e poi ti accompagno alla fermata del pulman, tu intanto spezza qualche biscotto e posalo sul davanzale, dobbiamo sfamare il nostro mes-saggero».

Tutto si svolge senza parole, ascoltando il gorgoglio del thè versato nella tazzina e il tintinnio del cucchiaino.

«Andiamo ora».

Le luminarie del Natale colorano le vie della Leonessa d’Italia, i due camminano fianco a fianco, lei gli tiene un braccio appoggiato sulla spalla e ogni tanto lo tira verso di sé; uno spiraglio di luce si è aperto nella sua vita, non si aspetta niente di più, è tanto dopo tanto. Dietro le loro spalle il vento sferza ondate fredde sui gusci dei loro cappotti, una frustata gelida colpisce la folta capigliatura ricci mettendo in risalto la perla sull’orecchio perfetto di Renata. Si slacciano salutandosi con due Ciao. Stefano lìaccompagna con lo sguardo finchè la vede scomparire tra la folla del corso.

Dall’altoparlante del Liberty la musica trasmette sensa-zioni di incanto e rapimento: Jimi Hendrix introduce la canzone Little wing con un prolungato riff; la chitarra fraseggia con la voce ricamando le tracce malinconiche delle liriche magiche e colorate:

Cammina tra le nuvole non pensare ad altro.Cavalca il vento. Quando sono triste vieni da me con mille sorrisi e raggi di luna e mi regali fiabe. Prendi ciò che vuoi da me. Qualunque cosa.Vola piccola ala”.

L’eco finale della chitarra sfocia in un assolo che sfuma nell’infinito. La testa del ragazzo è persa in mille pensie-ri, sa di aver aperto una porta, ma non sa cosa aspettarsi al di là della soglia. Una cosa è certa, il suo cuore batteva come un tamburo mentre stava tra le braccia di Renata, sente ancora la morbidezza e il profumo del suo corpo, lo stesso profumo di sapone alla magnolia del corpo morbido della zia Lucia.

Sulla strada del ritorno a casa, con la testa appoggiata al finestrino Stefano guarda il paesaggio scorrere all’indie-tro e in quel senso corrono anche i suoi pensieri a svuo-tare la ciotola dei ricordi.

Fin dalla prima infanzia dormiva spesso con la zia; sua madre lo affidava alla cognata nelle ultime ore della not-te prima di scendere in negozio per la distribuzione di pane e brioches ai clienti. La zia ha sempre profuso il suo affetto e le sue cure ai nipoti, in modo particolare a Stefano che porta lo stesso nome del suo unico amore, un amore interrotto in eterno dalla campagna in Russia del ’43. Non tornò più l’alpino, non trovò la strada di casa nonostante ogni notte la fiamma di un lumino sul davanzale illuminasse la solitudine della finestra sempre chiusa.

Anche da grandicello, quando si svegliava di notte per-correva a piedi nudi il corridoio comunicante- attraverso il ripostiglio- al piccolo appartamento della zia e si infi-lava nel letto ad una piazza e mezza. Cullato sul petto in quel nido di cicogna ascoltava come un vaso che attende di essere riempito, il canto –sul mare luccica l’astro d’ar-gento – e barattando gli incubi con i sogni si riaddor-mentava ipnotizzato dal soffio del respiro, dalle carezze e dal profumo di sapone alla magnolia del corpo morbido coperto solo dalla camicia da notte. Non portava bian-cheria intima a letto la zia, il ragazzo se ne accorse a tre-dici anni una notte dopo anni che non attraversava più il ripostiglio; quando, senza rendesene conto, dopo aver percorso il noto tragitto della seconda parte della notte si era adagiato sulla stessa culla di carne che lo aveva ac-colto nell’infanzia. Non ri riaddormentò. Il flusso del sangue nelle sue vene aveva reagito come un albero che offre gratuitamente il ramo alla colomba; se ne accorse anche la zia che con tanta semplicità lo scostò dal pro-prio corpo dicendogli che non doveva più andare in quel letto perchè stava diventando un uomo.

Gocce d’acqua picchiano sul finestrino. Piove. I rami nu-di dei platani che affiancano il provinciale sembrano braccia tese ad abbracciare il cielo. Il fiore della passione è nel circuito dell’essere; i pensieri del ragazzo corrono verso la nuova direzione delle cose: sotto la pioggia si dovrebbe dormire con una donna, sotto la pioggia si dovrebbe fare giochi d’amore.

Blog foto: images

 

18 pensieri su “Il primo giovedì di dicembre 1971

  1. L'amore sognato e quello reale, che conosce difficoltà, alti e bassi, impone di smussare angoli e incontrarsia metà strada e va coltivato giorno per giorno senza mai dare nulla per scontato. Le speranze e la vita vera, tra profumi di calicanto e la chitarra di Hendrix.A rileggerti ancoraPatrizia

  2. Un incontro che si tinge di sentimento vero e che farà conoscere l'amore al ragazzo, anima gentile.Bella narrazione, raffinata e scorrevole.Attendo il seguito.buona domenicaannamaria

  3. Attraverso l'artegli animi sisvelanoliberi si uniscono"mano nella manooltre la soglia"occhi negli occhialtrove..crepitìo difoglia melodiosariecheggia sui vetri,accompagna tutti i gestisilenziosi,verso la culladei giorni più intensi.Ti abbraccio!

  4. Cataldo grazie per la traduzione,ma era abbastanza facile.Non mi sento troppo magico in questo periodo, direi accaldato, la temperatura sale e la pressione scende.Vorrei avere l'età di questo ragazzo di cui parlo!Il falconier

  5. Ha ragione Cataldo sei magico ragazzo, leggerti è vero piacere a prescindere dai sentimenti belli che animano il protagonista la scritturaè avvincente.Grazie per il bel dono.frantzisca

  6. domani, quando sarò più giovane,ci penserò domania qualcuno che capisca gli occhi chiusie li attraversibucandoligiusto per consolare…

  7. Vorrei che l'amore romantico esistesse davvero: una rosa, uno sguardo, una parola veri. Perché il quotidiano deve banalizzare e spegnere tutto?

  8. @DomenicaLouise, l'amore romantico esiste per chi ci crede e continua a suonare questa canzone consapevole di una cosa importante assolutamente necessaria per la sua sopravvivenza:il sacrificio.Questa parola terrorizza la maggior parte delle persone e le fa fuggire, perdendo così la parte migliore.il sacrificio.Una volta capito questo (lo so non è facile!) tutto il resto viene da solo.il falconiere

  9. Falcoho sempre voglia di andare a rileggermi il seguito, poi mi arresto e dico no, aspetto anch'io, così mi gusto meglio ogni passaggio, anche la sosta.Fausto, che bella cosa hai fatto a raccogliere i tuoi ricordi! ne sono proprio felice!ciaocri

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